IL GRIDO DI DOLORE DI UN DIALIZZATO DI CARIATI

La chiusura dell’ospedale di Cariati come quello di Trebisacce doveva essere non chiusura, ma riconversione, facendo parte, a detta dei politici che l’hanno sostenuta, di una profonda e razionale riorganizzazione dei servizi ospedalieri. Il potenziamento degli ospedali di Rossano e Corigliano doveva fare parte di questa riorganizzazione, nell’attesa di una costruzione dell’ospedale della Sibaritide. Nulla di tutto questo è avvenuto e la sanità dell’alto Jonio cosentino sta vivendo un momento drammatico. Le conseguenze maggiori si stanno verificando a Cariati, già sede di un ospedale che era il fiore all’occhiello dell’ex Asl3, ormai praticamente chiuso e con evidenti continui tentativi di azzeramento dei pochi servizi rimasti. È di questi giorni una lettera di dolore di un dializzato, assistito nel servizio emodialitico di Cariati che si rivolge alle autorità sanitarie, ma soprattutto a quelle civili, moralmente garanti di tutta la società, affinché si interessino della dialisi di Cariati, interrompendo quello che non solo per lui, ma per tutti i dializzati, è un lento processo di delegittimazione mirante alla totale chiusura del centro. Altro che riconversione, qui si tratta di azzeramento! La lettera è stata inviata all’arcivescovo di Rossano – Cariati Santo Marcianò, al prefetto di Cosenza, al commissario dell’Asp di Cosenza, al presidente del Tribunale dei diritti del malato, nonché alla dirigenza locale del’ex Asl 3 e alla Gazzetta del Sud. Il latore della lettera, Alfredo Genovese, fa un’analisi della peculiarità del percorso di sofferenza dei dializzati che definisce “martiri della quotidianità”; si sofferma sulla necessità di trovarsi “in un ambiente sereno, dove le attenzioni e soprattutto le cure … sono una costante importantissima per il morale dei dializzati!!!”. Era ottimale il rapporto di serenità tra l’equipe assistenziale e i dializzati; un cambiamento improvviso e profondo deve essere evidentemente avvenuto se lo scrivente della lettera ha voluto gridare così forte il suo dolore. La nota di Genovese scaturisce da fatti oggettivi che preoccupano i dializzati e le loro famiglie. Il personale dell’equipe sta ricevendo ordini di servizio per andare a coprire turni nel vicino ospedale di Rossano, diminuendo, così, il livello assistenziale a Cariati e minando quello che Genovese ha definito il rapporto ottimale di serenità tra il dializzato ed i suoi assistenti. Con molta naturalezza, lo scrivente parla dei decessi che in questo ambiente “purtroppo per età e per natura si susseguono con frequenza rendendo disponibili quei posti tanto agognati per l’alta domanda e che allo stato risultano, invece, non assegnati”. In effetti, alcuni posti-rene sono attualmente fermi e non assegnati, mentre alcuni pazienti temporaneamente vengono dirottati a Trebisacce, distante un centinaio di chilometri. Lo scrivente della nota, delegato dell’Aned, sottolinea che le sue considerazioni hanno avuto come unico suggerimento quello dei dializzati, letteralmente terrorizzati dall’insicurezza in questo loro trattamento virtuale. Alfredo genovese si chiede:” Come mai nessuno interviene?”. Sollecita, infine, le autorità in indirizzo ad esaminare con attenzione la problematica espressa, dicendosi disponibile a rimarcarla ulteriormente a nome degli altri dializzati e ricorrendo, se il caso, a portarsi tutti all’ingresso del centro, rifiutando il trattamento dialitico rischiando, così, la propria vita come estrema forma di protesta versi chi considera il “martire della quotidianità” un semplice numero, una pedina da spostare a piacimento, considerandolo non un essere umano, ma un oggetto qualsiasi.

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