E poi arriva il miracolo

È cominciato male, questo 2017. Non che le premesse fossero esaltanti ma si sa: ad ogni inizio di gennaio si spera sempre che il pessimismo delle premesse sia smentito e che succeda qualcosa di positivo a schiarire le nebbie di un avvenire che si annuncia cupo e deprimente. E invece, tra fatti e fattacci, fatterelli e aneddoti, drammi, tragedie e farse, il quadro non solo si è confermato ma si è addirittura incupito ulteriormente.

Apprendere che la Commissione Europea, facendo le pulci al bilancio italiano, esige correzioni perché sui conti è inflessibile, ma chiude un occhio, o anche tutti e due, sul menefreghismo di tanti Stati in materia di immigrazione e profughi; dover rilevare ancora una volta la ferocia di tanti che, sui social network, al capo del Governo vittima di un malore augurano non la guarigione ma la morte; sentirsi di nuovo tremare il pavimento sotto i piedi, quattro volte in due giorni; vedere le lacrime di Obama durante il discorso d’addio e poi sentire il discorso minaccioso del suo successore al momento dell’insediamento, mentre la balbettante Europa non sa trovare una voce unica e unita per difendere una visione del mondo in cui, forse, non crede più nemmeno lei; veder nevicare per ventiquattro ore filate, pensando intanto ai paesi e ai villaggi distrutti dai terremoti dell’agosto e ottobre scorsi coperti e soffocati sotto metri e metri di neve; sentire ripetutamente l’espressione “è in ginocchio”, riferita al Salento, alla Sicilia, all’Abruzzo, all’agricoltura; pensare a questa o quella stalla impossibile da raggiungere, dove gli animali muoiono di fame e di freddo; poi vedere l’assessore alla Protezione Civile della Regione Marche presentarsi in tenuta da eroe, con giacca a vento e scarponi, al TG regionale, un po’ come Salvini che è andato a sputare veleno e fare propaganda elettorale in Abruzzo, e poi a La7 esibendo (a Roma!) gli stivaloni da neve; leggere commenti deliranti di politici incapaci di azzeccare un congiuntivo ma capacissimi di sfruttare le tragedie naturali per portare acqua al mulino del proprio partito; e infine apprendere che una slavina ha travolto e addirittura spostato un albergo a Rigopiano, sul Gran Sasso, seppellendo vive una trentina di persone.

Ti viene voglia di dire: basta, non leggo più i giornali, non ascolto più i telegiornali: in questo mondo dalla natura impazzita, abitato da uomini più pazzi di lei, io non mi riconosco più.

E poi arriva il miracolo.

Proprio a Rigopiano, da quell’albergo che forse non si sarebbe mai dovuto costruire: il miracolo di eroi veri, generosi e disinteressati. Vigili del Fuoco, soccorritori della Protezione Civile, poliziotti, agenti della Guardia di Finanza, carabinieri: una folla di instancabili, meravigliosi, caparbi e disinteressati eroi che scavano notte e giorno, nel freddo, nella neve e tra le macerie, col rischio che altre valanghe seppelliscano anche loro; e alla fine sorridono e applaudono, angeli felici, perché sono riusciti nell’impresa e hanno restituito alla vita i superstiti della tragedia.

Il loro sorriso vero, cordiale, umano e commovente è un raggio di luce, l’unico, in questo gennaio orribile del 2017. È grazie a quel sorriso che possiamo dirci che in un mondo pieno di arroganza, egoismo, meschinità, presunzione e ignoranza ci sono persone meravigliose che dimenticano sé stesse e si impegnano per aiutare gli altri, e sono felici, sinceramente felici, quando ce la fanno. Quegli eroi veri ci ridanno un barlume di speranza e riaccendono la fiducia in un’umanità che fa di tutto per cancellarne ogni segno. Oltre a quelle donne, uomini e bambini, quegli eroi hanno salvato un po’ anche noi tutti.

Siamo enormemente in debito verso di loro. Forse non è molto, ma sono certo che farà loro piacere se per ripagarli scegliamo una parola. Una parola piccola e semplice che però, quando viene dal profondo del cuore, vale tutto l’oro del mondo: grazie.

Giuseppe Riccardo Festa

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