AND SO THIS IS CHRISTMAS

Questo pezzo è molto antipatico. Se continuerete a leggerlo non prendetevela con me: io vi ho avvertito. Ne rubo il titolo dal testo di una delle canzoni più brutte di John Lennon che purtroppo, oltre a “Strawberry Fields”, “Imagine”, “A day in the life” e “Penny Lane” ha scritto anche quella cosa stucchevole e melensa dal titolo, appunto, “So this is Christmas”.

Il tizio del palazzo di fronte al mio, come ogni anno, ha impiccato al balcone il pupazzo spastico di Babbo Natale, in un tripudio di lucine colorate intermittenti. Spero che stavolta ci saranno risparmiate le ripetizioni a oltranza di “Jingle bells”, “White Christmas” e “Tu scendi dalle stelle” che proditoriamente diffonde durante le feste, da quello stesso balcone, con un dannatissimo altoparlante.

La TV ha cominciato già da un pezzo, con i ragazzini che invitano a fare i buoni e mangiano il panettone, file di deficienti in costume da babbo Natale che cantano giulivi un gospel ingannevole invitando a comperare un panettone, un tizio con la faccia da pirla che in una riunione di presunti gran signori immerge la faccia in una fetta di panettone.Io lo odio, il panettone, e detesto il pandoro. Con me non attacca. “

War is over if you want to” canta il coretto della canzone natalizia di Lennon: “La guerra è finita, se tu vuoi”. Vallo a spiegare ai bambini che affogano nell’Egeo e a quelli che scappano da Siria, Pakistan, Afghanistan, Somalia…… Va be’’, dice: che c’entra? Quelli sono musulmani, mica sono cristiani.

E allora vallo a spiegare ai familiari delle vittime e ai feriti di Parigi e di San Bernardino, negli USA. Va be’’, dice: che c’entra? Quelli li hanno ammazzati dei musulmani. Noi siamo cristiani, non ammazziamo nessuno.

E allora vallo a spiegare alle vittime di quel tizio ipercattolico che in una clinica, sempre negli USA, ha fatto strage di medici e pazienti. Va be’’, dice: che c’entra? I morti erano abortisti. Ah, già vero… Quello ammazzava per amore della vita!

E allora vallo a spiegare ai cristiani vittime anche loro, con migliaia di musulmani, della guerra in Siria. Va be’’, dice: lo sai che hai rotto? È Natale, lasciaci comperare in pace i nostri regali, mangiare i nostri panettoni, fare il nostro presepe e sentirci tanto buoni: abbiamo pure fatto l’’SMS per Telethon! Lasciaci in pace, che fra poco il papa dice messa.

Già, il papa, poveretto. Ha un bel predicare e dare il buon esempio, circondato com’’è da monsignori puttanieri, spioni, ladri e gozzovigliatori, che al confronto la corte del suo predecessore Alessandro VI, il papà di Lucrezia Borgia, era una compagnia di pii digiunatori.

“War is over if you want to.”… Ma la vogliamo poi davvero la fine della Guerra, con tutto il gran giro d’’affari che comporta, e il PIL che deve tornare a crescere? Come dite? Sono davvero insopportabile? Forse avete ragione.

Ma sì, dài. In fondo un po’’ di gente di buona volontà, da qualche parte, ce ne deve pur essere: per esempio voi, miei cari e affezionati ventiquattro lettori. E allora questi quattro -– anzi, ventiquattro – gatti spero siano d’’accordo con me su un concetto molto antipatico: “essere più buoni il giorno di Natale” è una cosa miseranda, ipocrita, meschina e inutile. È in quel “più” che precede l’’aggettivo che sta tutta l’’ipocrisia, e nelle parole che lo seguono. Non serve a niente “essere più buoni il giorno di Natale”: bisognerebbe essere buoni, punto e basta, trecentosessantacinque giorni all’anno (trecentosessantasei nei bisestili). E senza neanche pretendere di fare il bene: gli assassini di Parigi e di San Bernardino, i tagliagole, i lanciatori di bombe e di missili, gli esecutori di condanne capitali, gli innumerevoli fanatici di ogni risma e religione che infestano il mondo sono tutti convinti di essere nel giusto, e dunque di fare del bene. Basterebbe astenersi dal fare il male.

È con questa ben poco natalizia constatazione che a voi e a me e a tutti, miei cari ventiquattro lettori, auguro di tutto cuore che il 2016 sia un anno foriero di benessere e serenità. Anche se, in confidenza, non ci spero poi più di tanto.

Giuseppe Riccardo Festa

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