Ancora sulla mediocrità: i “Reality show” e il loro pubblico.

Tornando sulle riflessioni del mio articolo precedente, va detto che non è solo in politica che la mediocrità la fa da padrona, miei cari ventiquattro lettori.

Io non ho mai guardato, nemmeno per un secondo, un qualsiasi cosiddetto reality show, categoria di spettacoli di cui Il grande fratello è l’antesignano. Non ne capisco il senso, la logica e l’utilità, al di là del gusto (pessimo) di vedere un gruppo di persone che non hanno niente da fare e niente da dire mentre lo fanno e lo dicono. Solo di sguincio mi è capitato a volte, vuoi seguendo Blog su Rai3, vuoi leggendo qualche titolo sui giornali on-line, di percepirne dei flash; e quei flash  mi hanno confermato nell’idea che si tratti di tv spazzatura, buona solo per chi ama spiare dal buco della serratura quello che fa il vicino di casa.

Solo che quelli che amano spiare dal buco della serratura quello che fa il vicino di casa sono tanti, al punto che i reality show raggiungono picchi di ascolto elevatissimi; e si verifica, in questo contesto come in quello della gente che non sa scrivere ma vuole scrivere lo stesso, il fenomeno dell’inversione dell’onere della vergogna: così come l’autore di strafalcioni grammaticali, lungi dall’ammettere i propri errori, ti dà del maestrino, del saccente e del presuntuoso se quegli strafalcioni glieli fai notare, allo stesso modo se uno esprime le sue riserve sui programmi in questione, immediatamente i fan sollevano le sopracciglia e gli danno dello spocchioso arrogante: “Sì” ha risposto una signora a un mio commento su un blog: “a me il Grande Fratello Vip mi piace (sic). Per te è un problema?”. “No, signora” le ho risposto a mia volta (non condivido questo darsi del “tu” in rete fra persone che non si conoscono): “Per me no. Se mai per lei”.

Le masse sono acefale, miei cari ventiquattro lettori, e costituite da individui mediocri. Non c’è bisogno di scomodare Gustave LeBon e il suo Psicologia delle masse: è un fatto e non si tratta, da parte mia, di spocchia da preteso intellettuale con la puzza sotto il naso. Ciò che piace alle masse non è raffinato, né elegante, né bello. Il bello, nel gusto delle masse, è sostituito dalla sua caricatura, il kitsch; e l’eleganza è soppiantata dalla moda; e la cultura è spodestata dal sentito dire e dalla superficialità.

Così ho il diritto di pensare che sia assurdo considerare elegante un paio di jeans tagliuzzati e calati sotto le natiche, o una faccia coperta di piercing o un corpo istoriato di tatuaggi; che 50 Sfumature di grigio o Tre metri sopra il cielo non siano che immondizia letteraria e che sputacchiare parolacce e volgarità dal palco di  Zelig non sia satira. E, naturalmente, ho il diritto di affermare che i vari grandi fratelli, isole dei famosi, fattorie eccetera, siano semplicemente, senza tema di smentita, nient’altro che ciarpame televisivo destinato alla massa dei mediocri, che proprio per questo ha il successo che ha.

Non sono io che devo giustificare i miei giudizi, che sono normalissimi in un’ottica non da intellettuale ma da semplice cultore del buon gusto. Sono gli spettatori di quei programmi che dovrebbero chiedersi se vogliono viver come bruti, o seguir virtute e canoscenza; che dovrebbero chiedersi se vogliono appartenere al gregge dei mediocri o essere individui pensanti: il primo passo per uscire dalla mediocrità consiste infatti proprio nel sospettare di averla addosso. Ma non se lo chiederanno mai perché, e questo è l’aspetto più doloroso della faccenda, loro, in buona fede, sono purtroppo convinti di seguir virtute e canoscenza.

Ignorando, poveretti, di viver come bruti.

Giuseppe Riccardo Festa

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