Ah, quest’arte moderna!

Opera di Lucio Fontana

Non ho difficoltà ad ammetterlo: molta arte contemporanea mi mette a disagio, quando non in difficoltà. Di fronte alle tele tagliate di Lucio Fontana, alla “Merda d’artista” di Piero Manzoni, agli schizzi senza capo né coda (o che almeno tali mi sembrano) di Jackson Pollock, come a certi prodotti dell’espressionismo tedesco, ad esempio gli autoritratti di Egon Schiele, d’istinto sono portato a chiedermi dov’è il senso di quelle opere e che fine ha fatto la bellezza.

Piero Manzoni: “Merda d’artista”

Ancora più straniante è il rapporto con altri e ancora più provocatori artisti contemporanei: ricordo che tanti anni fa, alla Mostra di Venezia, fu esposto un uomo in carne ed ossa, affetto dalla sindrome di Down, seduto su una poltrona; e che dire del cosiddetto “ready made”? Si tratta di oggetti qualunque che colpiscono l’attenzione dell’artista, il quale così come sono li dichiara opere d’arte e afferma che essi hanno un certo significato; poi fior di critici si profondono in disamine ed analisi astruse e immaginifiche e il povero osservatore, consapevole della propria ignoranza, pur se gli vengono in mente il ragionier Fantozzi e la sua valutazione del film La corazzata Potemkin, se ne sta buono e zitto; invece l’altrettanto ignorante collezionista non solo se ne sta buono e zitto, ma stacca anche sostanziosi assegni.

Schiele: “autoritratto nudo”
Turner: “Pioggia, vapore e velocità”

Proprio questo (non staccare assegni ma stare buono e zitto, per quanto perplesso) mi è accaduto con l’ultimo parto di Maurizio Cattelan, già famoso per aver creato un WC tutto d’oro e che ora è assurto agli onori delle cronache a causa della famosa banana attaccata con lo scotch a una parete, che è stata acquistata per un prezzo astronomico da non so chi e poi mangiata da non so chi altro, ma subito rimpiazzata con un’altra banana.

Van Gogh: “I girasoli”

È arte o no? È impossibile dirlo, perché l’arte per definizione è qualcosa di indefinibile. Fino a non molto tempo fa, tuttavia, una costante sembrava caratterizzarla: l’artista doveva – e si sentiva in dovere di – dimostrare di saper fare ciò che lo qualificava come tale. Ciò che realizzava doveva rispondere a canoni estetici che, pur mutevoli nel tempo e nello spazio, comunque si riteneva doveroso rispettare: il pittore dipingeva, lo scultore scolpiva, il poeta poetava, il musicista componeva e dal risultato doveva emergere che essi possedevano capacità creative, ossia del talento; e che grazie a questo talento, attraverso l’acquisizione di competenze tecniche (l’arte in senso etimologico) sapevano realizzare qualcosa di bello.

Michelangelo: “Pietà Rondanini”

Ora non più: l’artista è libero, fa quello che gli pare e nessuno, né la critica, né il pubblico, né egli stesso ha il diritto di imporgli vincoli, limiti e regole, formali o estetici. E poi che cos’è il bello? Se uno guarda la meravigliosa Pietà Rondanini di Michelangelo non vede grandi differenze con molta scultura moderna; e sui bellissimi dipinti di William Turner, genio inglese della prima metà dell’Ottocento, le immagini si dissolvono spesso in macchie di colore che sembrano anticipare l’impressionismo francese, che fu ferocemente criticato sul nascere mentre è ammiratissimo oggi; e anche I Girasoli di Van Gogh, che nulla hanno di realistico, ciononostante li troviamo tutti incantevoli.

Ancora, un critico stroncò “La Vedova Allegra” di Franz Lehár, coi suoi deliziosi valzer e galop, dicendo “questa non è musica”; ci furono committenti che rifiutarono opere di Caravaggio perché le ritennero brutte, e il Primo Concerto per Pianoforte di Ciaikowski sulle prime fu dichiarato “volgare, pomposo, ridondante e ineseguibile” dal più apprezzato critico contemporaneo dell’Autore.

Insomma dobbiamo ammetterlo: bisogna andarci piano quando decidiamo che un’opera d’arte è brutta, perché spesso il nostro atteggiamento è condizionato dal pregiudizio, da una disarmante ignoranza o (ed è spesso il mio caso) da entrambi. Però, dài: il dubbio che l’artista sia in realtà un furbacchione che sta menando per il naso pubblico, critica e compratori, davanti a certe opere d’arte contemporanea a volte viene.

Quindi non escludo che, trovandomi davanti alla famosa “banana con scotch su fondo bianco”, dimenticando tutte le sagge e prudenti riflessioni che precedono potrei lasciarmi andare e  ispirarmi al già citato e mai abbastanza lodato ragionier Ugo Fantozzi:  “Per me”, esclamerei in un urlo liberatorio, “quest’opera di Cattelan è una cagata pazzesca!”.

E comunque, visto che l’hanno mangiata, di sicuro lo sarà, fra non molto, non solo in senso metaforico.

Giuseppe Riccardo Festa

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