A chi appartiene la nostra vita?

Gli appelli di Fabo sono caduti nel vuoto, come c’era da aspettarsi: sono caduti nel vuoto perché il fronte delle destre cattoliche è compatto nel continuare a ritenere che gli italiani sono degli eterni minorenni da tenere sotto eterna tutela; perché è impensabile, secondo loro, che essi possano decidere per proprio conto della propria vita e della propria morte.

Sono tutti d’accordo, da Maurizio Lupi, secondo il quale “Un uomo è libero di fare di sé ciò che vuole, ma non esiste un diritto alla morte. Dispiace veder forzare il parlamento nei confronti di un disegno di legge sul cosiddetto testamento biologico che con il caso del dj Fabo non c’entra nulla” all’ineffabile Binetti, la quale ha seraficamente dichiarato che “La vicenda di Fabo dimostra quanto sia necessario che nella legge sia scritto no all’eutanasia”, al doroteo Brunetta, che parla di alleanza terapeutica tra paziente, familiari e medici senza nessuno schematismo” e senza “entrate violente sulle coscienze”.

I più squallidi sono il grillino Di Maio, che anche di fronte alla morte tira in ballo i suoi interessi elettorali, blaterando di “parlamento che non esiste” e di parlamentari che “si aspettano solo la pensione a settembre e le prossime elezioni per guadagnare un posto in lista” e l’inqualificabile Adinolfi, che ha tirato in ballo, a sproposito e con la sua cattolicissima ferocia, Hitler e il suo infame programma per l’eliminazione dei minorati psichici; ma anche i parlamentari degli altri partiti, quelli favorevoli a una legge veramente civile, non ci fanno una bella figura: perché la loro inerzia, in tutti questi anni, è altrettanto colpevole quanto l’arroganza delle destre e la miseria morale degli opportunisti.

Le polemiche sorte dai casi di Eluana Englaro, di Piergiorgio Welby e di Massimiliano Fanelli (non a caso riprendo il titolo del pezzo che scrissi in occasione della sua morte) non sono servite a niente.

A niente serve anche che gli italiani, in stragrande maggioranza (oltre il 70%) si dicano favorevoli a una legge che riconosca il diritto del cittadino di decidere sulla propria morte: guidati dalla CEI, che dà loro il “la”, i politici cattolici o che comunque all’elettorato cattolico fanno riferimento, non vogliono saperne di ammettere che lo Stato non è il padrone della vita dei cittadini di cui è costituito e, soprattutto, che il loro credo religioso non può condizionare l’esistenza di chi non lo condivide.

Fra le righe delle dichiarazioni meno oltranziste, ad esempio quelle di Lupi e Brunetta, si legge chiara l’idea che a vincere debba essere l’ipocrisia: è una faccenda, quella di por fine alle sofferenze di persone che non vogliono più sopravvivere a sé stesse, da affidare alla mano pietosa del medico e dell’infermiere compiacenti e dei parenti, anche se a norma di legge essi rischiano poi una denuncia per omicidio o quanto meno per assistenza al suicidio.

Quello che sommessamente, per l’ennesima volta, vorrei dire ai cattolici che inorriditi ripetono il loro ritornello: “la vita è un dono di Dio, e solo Dio può decidere di toglierla”, è che questa musica va bene per le loro orecchie, ma non hanno il diritto di suonarla anche a chi cattolico non è. Che riconoscere un diritto non significa imporre un obbligo, ma anzi nobilitare anche fra loro (se di nobiltà vogliamo parlare) la scelta di chi, pur potendo per legge agire diversamente, decide di seguire i dettami della propria fede e di continuare a sopravvivere.

Riposa in pace, Fabo. Tu amavi la vita, quella vera, non la sopravvivenza a te stesso nel dolore, nell’inanità e nella cecità senza speranza. Hai preferito morire con dignità piuttosto che vegetare in quello stato. Ma hai dovuto andartene in Svizzera per esercitare un diritto che la tua Italia ti ha negato per far contenti la deputata Binetti, il deputato Lupi, il deputato Adinolfi e i vescovi della CEI, che hanno la pretesa di decidere sulla vita e sulla morte degli altri.

Povera Italia, e poveri italiani.

Giuseppe Riccardo Festa

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