Quando il mostro indossa la tonaca

Potrà sembrare una questione di dettaglio, il puntiglio semantico di un osservatore che – i miei ventiquattro lettori lo sanno – non ha, nei confronti delle religioni in generale e del clero in particolare, nessuna precostituita reverenza o senso di obbligatorio rispetto.

Il problema degli abusi sessuali su ragazzini e ragazzine da parte di individui che hanno preso i voti religiosi si affaccia – purtroppo non di rado – dalle pagine dei giornali quando un nuovo caso di molestia, se non di stupro, giunge al disonore delle cronache: l’ultimo, quello di una quattordicenne della quale, col connivente silenzio della madre, un parroco ha abusato a Lecce nella sacrestia della sua chiesa.

Fra l’altro la curia di Lecce, nel caso in questione, non ha preso nessun provvedimento a carico del sospetto stupratore. D’accordo sulla presunzione di innocenza fino a prova del contrario ma, data la delicatezza della questione, assegnare a quell’individuo, durante lo svolgimento delle indagini, un incarico in qualche ufficio interno sarebbe stato a dir poco opportuno. Invece, sebbene la ragazzina sia stata allontanata dalla famiglia (leggi: dalla madre connivente) e gli elementi raccolti siano piuttosto pesanti, secondo la curia non ci sono problemi, con buona pace dell’impegno del papa contro questa piaga.

Tornando al punto, a darmi fastidio è che in questi casi nei titoli  dei giornali  l’orco di turno sia qualificato come “sacerdote”, termine il cui uso, a mio parere, andrebbe invece evitato nel modo più assoluto. I dizionari etimologici ci insegnano che il sacerdote è colui che offre a Dio le cose sacre. Ma individui del genere, di sicuro, non hanno nulla da offrire a Dio, e ancor meno hanno a che fare con le cose sacre.

A prescindere dalle convinzioni che si possono avere in campo religioso, è indiscutibile che innumerevoli, fra gli addetti ai culti, sono le persone sinceramente e onestamente convinte della sacralità del loro compito ed operano nel rispetto dei principî ai quali la loro religione si ispira: mai essi si sognerebbero di mettere le mani addosso a creature innocenti approfittando della loro fiducia e dunque essi meritano, certamente, la definizione di sacerdote.

Ma chi forte del suo status, e del potere psicologico che esso gli dà, nel silenzio del confessionale o della sacrestia allunga le mani sul corpo di un ragazzino o di una ragazzina, segnandone per sempre la psiche e distorcendone per la vita il rapporto con la vita sessuale, quale definizione merita? Può, onestamente, essere definito “sacerdote”, offendendo peraltro chi tale è per davvero? Per un individuo del genere le definizioni più adeguate sarebbero ben altre, da “porco” a “mostro” a “profittatore”. Ma d’accordo, evitiamo di condannare in anticipo, e rispettiamo la presunzione di innocenza; però lasciamo da parte il suo preteso sacerdozio.

Chiamiamolo semplicemente “prete”.  Basta, e ce n’è pure d’avanzo.

Giuseppe Riccardo Festa

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