NERONE E CALIGOLA

Giosuè Carducci, dinanzi alla svagata inconsistenza della giovane poetessa Vivanti, commentava sconsolato: “Annie, la tua pochezza mi riposa”. Il “fiero maremmano” viene in mente osservando gli ingarbugliati sommovimenti, tanto scomposti quanto arruffati, dei numerosissimi aspiranti consiglieri comunali che si contenderanno gli scranni di Palazzo Venneri nella primavera del 2016. Il sindaco Sero, e con lui la maggioranza che lo sostiene da nove anni, è impresentabile non solo perché la norma non glielo consente, ma soprattutto perché egli è il regista, l’artefice (o l’esecutore?) del periodo più buio della storia patria. Ha fatto peggio, si dice quaggiù, dei saraceni o di Nerone, il quale, almeno, si “limitò” a distruggere Roma col fuoco. Filippo Giovanni Sero, a quanto ne sappiamo, non suona la lira, il sestertius (ce l’aveva un suonatore, durante il primo mandato, ed abbiamo visto come è andata), come l’imperatore pazzo, ed alle fiamme ha dato una comunità fragile, minata, come dicono quelli che parlano bene, dalla crisi globale che a queste latitudini ha inferto un colpo durissimo. Ma torniamo a noi, alla Cariati che verrà, se verrà. Tanto per stare nell’epica romana e nella musica, da noi il complesso di Caligola resiste, eccome. Ognuno ha il suo cavallo da far nominare nelle greppie, e poco importa se durante la corsa si è lasciato andare a qualche irregolarità. Torna alla mente la fiaba di Kirilenko, quella degli animali della foresta che volevano formare un’orchestra, ma alle prove veniva fuori un’esecuzione stonata. Pensarono che, per rimediare, era sufficiente cambiar posto ai musicanti: il leone si sistemò sotto l’albero della scimmia; la volpe si alternò al lupo. Attaccarono, ma la melodia era sempre sgradevole. C’è qualcuno, a Cariati, in grado di stabilire lo spartito e di pretendere che i professori dell’orchestra abbiamo almeno frequentato il conservatorio? C’è, soprattutto, chi ha abbastanza forza per esigere che nessuno fracassi gli strumenti? È legittimo il dubbio. Codeste riflessioni, magari sballate, sono il frutto di un’osservazione ultradecennale delle cose di casa nostra e trovano alimento nella grande discussione virtuale della Rete. Un carissimo amico assiste “con malincuore alla frammentazione di gruppi di minoranza” e si augura che si riesca a “salvare dal baratro questo bello ed infelice paese”. Un altro amico, altrettanto amabile, si preoccupa “per l’assenza d’interesse che si registra nella nostra comunità anche per le cose più serie” e teme “coloro i quali tramano silenziosi nel buio, pianificando alleanze, dispensando promesse onde riuscire a soffocare la nostra collettività”. Il pensiero comune e condiviso, speriamo non solo a parole, pare essere quello di voltare pagina definitivamente, cancellando due lustri obbrobriosi, turpi, infami e disonorevoli. Ma alle poltrone bramano in molti ed il rischio, reale, è quello di riconsegnare Cariati, la vittima, nelle mani del carnefice. Così non sia. Lorenzo Alderani

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