
Ci sono giorni, come quelli che stiamo attraversando, in cui le notizie ti fanno cadere le braccia.
Lo scandalo della cosca mafiosa romana, dei milioni di euro che ha succhiato dalle casse di un comune in bancarotta che intanto riceveva finanziamenti straordinari dallo Stato; dei pubblici dipendenti e dei politici iscritti sul libro paga di quei delinquenti; la vergogna e la rabbia che si prova ogni volta che siamo costretti a rivedere lo stesso film – dopo Mani Pulite, dopo il MOSE di Venezia, dopo l’Expo di Milano, le spese pazze dei consiglieri regionali di tutta Italia - tutto questo ci fa perdere la speranza, e la voglia di credere che questo Paese disgraziato possa un giorno, noi viventi, alzare la fronte e guardare il resto del mondo senza vergogna.
Ogni volta, i politici si affannano a condannare, a chiedere nuove elezioni, a esibire sdegno e prendere distanze: alza la voce perfino uno che appena diventò presidente del Consiglio per prima cosa depenalizzò il reato di falso in bilancio, e ora sta scontando una condanna per evasione fiscale, a causa della quale ha pure perso il seggio in Parlamento. Ha perso quello ma non, evidentemente, la faccia tosta.
Ti viene il sospetto che abbia ragione chi dice che gli italiani non corrotti sono solo quelli che non hanno ancora avuto la possibilità di farsi corrompere.
Intanto, l’attuale capo del Governo promette pene più dure e prescrizione meno facile per i corrotti. Si fa fatica a credergli: dopo lo scandalo della prescrizione per la tragedia dell’amianto a Casale Monferrato, promise che il governo avrebbe presentato un disegno di legge proprio contro le prescrizioni troppo rapide: ma non mi risulta che alle parole siano seguiti i fatti. Né si parla di reintrodurre sanzioni penali per i falsificatori dei bilanci delle aziende: il nostro governo attuale ama, riamato, gli imprenditori. Non farebbe mai nulla che potesse recar loro un po di fastidio.
E poi mariti che ammazzano le mogli che osano lasciarli, e con loro anche i figlioletti; e una madre sospettata d’aver ucciso il suo bambino in un modo atroce e brutale: la cronaca aggiunge sale a ferite che già bruciano, e bruciano di più perché si dispera di vederle mai guarire.
Nel buio cupo e maleodorante di una realtà così avvilente, si cerca qualche lampo di luce, qualche sprazzo di aria respirabile che possa alleviare il senso di impotenza, e di angoscia, che a dispetto dell’ottimismo ostentato dal capo del Governo opprime il cuore e la mente.
E sì: qualche ragione di speranza, malgrado tutto, si riesce a trovarla. Ci sono i medici e gli infermieri di Emergency, quella squadra di normalissimi eroi che in Africa affronta l’epidemia di Ebola anche a rischio della propria vita; c’è Telethon, i cui ricercatori, al San Raffaele di Milano, hanno scoperto come curare una malattia genetica troppo rara per interessare le multinazionali della medicina; cè Samantha Cristoforetti sulla stazione spaziale orbitante, cè Fabiola Gianotti a capo del CERN di Ginevra. Ci sono i due insegnanti italiani (due su cinquanta, a livello mondiale), segnalati da Massimo Gramellini oggi su La Stampa, in lizza per il premio come migliore insegnante del mondo.
E ci sono innumerevoli altre brave persone che a dispetto del marciume imperante continuano a tener pulito il loro angolo, cercano di pulire un po’ anche intorno, e si danno da fare, sempre e comunque, perché dignità, onestà e impegno, per loro non sono soltanto parole.
Loro non fanno notizia, ma ci sono. Bisogna ringraziarli, e dir loro di avere coraggio e di non arrendersi, malgrado tutto: sono loro la speranza per il futuro del nostro povero Paese. L’ultima, flebile fiammella di speranza. Vacilla, e tremola; spesso è sul punto di spegnersi ma ogni volta, finora, è riuscita a riprendersi.
Non deve morire. Non deve assolutamente morire. Guai. Sarebbe davvero la fine, se dovesse morire.
Giuseppe Riccardo Festa
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