Il Mondiale di Formula Uno, ossia la noia a 300 orari.

HUNGARIAN GRAND PRIX F1/2010 - BUDAPEST 01/08/2010 - START © FOTO ERCOLE COLOMBO

Vi ricordate una volta, quando le soste ai box erano libere, la scelta delle gomme era libera, la sostituzione di motori, scatole del cambio, sospensioni, ammortizzatori e qualunque altro pezzo era libera? Quando il rifornimento era libero e le strategie di gara erano parte integrante dei gran premi?

Non so voi, miei ventiquattro pazienti lettori, ma un tempo, quando era divertente, il campionato del mondo di Formula Uno – che quest’anno è appena finito con la solita vittoria del solito (e antipatico) Lewis Hamilton – io lo guardavo e mi ci appassionavo pure. Vi ricordate? Ci chiedevamo se il tale pilota sarebbe partito leggero, per guadagnare vantaggio fino al rifornimento; e quanto sarebbe durato il rifornimento; e se quell’altro invece avrebbe puntato su un minor numero di soste; e c’erano quei rocamboleschi passaggi ai box, con i meccanici che si affaccendavano ultrarapidi, e calcolavamo quanto tempo ci mettevano per riempire il serbatoio, oppure si scalmanavano per sostituire pezzi rotti, e i piloti che ripartivano e magari poi facevano spettacolose rimonte.

Adesso, al massimo, dopo l’interminabile serie di spot e di sigle che la precedono, guardo la partenza per vedere se qualcuno, da dietro, rimonterà qualche posizione e aspetto fino alla prima curva per vedere (sperando sotto sotto che succeda) se qualcuno la raddrizza o monta su qualcun altro. Poi è la noia, con l’abbiocco conciliato dai commentatori che – unici a capire quello che dicono – traducono i gracchianti scambi di battute fra i piloti e i loro ingegneri che per i comuni mortali, anche se un po’ d’inglese lo masticano, di solito sono chiari e intelligibili come i dialoghi fra due cornacchie.

L’unica speranza è che – per carità, senza che nessuno si faccia male! – qualche sorpasso si risolva in un contatto con un bel testa-coda, un bacetto dei bolidi contro le balle di paglia di protezione e qualche scambio di gestacci fra i piloti interessati. Altrimenti il pisolo è garantito: le auto infilano un giro dopo l’altro, i distacchi si allungano, i doppiati si scansano, le belle gnocche ai box si agitano, i tecnici davanti ai monitor si accigliano, qualcuno rompe il motore, accosta, sfila il volante, poi si sfila lui dall’auto e se ne va tenendosi in testa il casco, che lo fa sembrare una specie di mostro ipercerebrato; regolarmente, alla fine, le Toro Rosso perdono e le Ferrari non vincono, a dispetto delle promesse e delle premesse, che sono sempre positive mentre i risultati sono sempre deludenti.

Insomma la Formula Uno rischia di diventare la Formula nessUno perché le gare  attireranno sempre meno spettatori, essendo eccitanti quanto un telefilm dell’Ispettore Barnaby o di Joséphine Ange Gardien.

Va be’, dai, non esageriamo: l’Ispettore Barnaby, in realtà, è molto più eccitante di Joséphine Ange Gardien. E anche, in effetti, di una gara di Formula Uno.

Giuseppe Riccardo Festa

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