
Ancora una volta, le banche sono nella bufera per via di un’assistenza ai clienti che sembra orientata più a spennarli, i clienti, che ad assisterli: stavolta, dicono le cronache, i promotori finanziari di ben cinque banche, e non delle più insignificanti, hanno rifilato agli investitori, tanto incauti quanto ingordi, acquisti di diamanti a prezzi gonfiati: a quanto pare è un vizio.
Infatti lo è, se solo si riguarda al passato: ci furono i casi dei bond argentini, poi quello della Parmalat, più di recente quello delle obbligazioni subordinate di Banca dell’Etruria; e ora questo.
La ragione, per chi come me di quel mondo sa qualcosa, è facile da capire: un tempo i funzionari bancari erano pagati a stipendio fisso: l’unica variabile era il “premio di rendimento”, stabilito dal contratto collettivo di lavoro, che poi tanto variabile non era, perché per esserne esclusi bisognava proprio averla fatta grossa, roba tipo aver rapinato la banca stessa, anziché il cliente come usa ora.
Una parte ben più consistente del reddito dei promotori finanziari, nelle banche, è ora legata al volume di investimenti che essi producono, e questi investimenti sono il più delle volte imposti loro dall’alto: “per i prossimi sei mesi (faccio un esempio) lei dovrà vendere un tot di nostre obbligazioni, un tot di quote del tale fondo comune di investimenti, e un tot di questo nuovo prodotto”. Il nuovo prodotto è stato il “future”, per qualche tempo, poi appunto i bond argentini, le obbligazioni Parmalat e le obbligazioni subordinate; questo dei diamanti sicuramente non sarà l’ultimo.
Il promotore non ha scelta: se vuole guadagnarsi, oltre al pane, anche un succoso companatico, deve credere, obbedire e combattere. Dunque, volere o volare, quei prodotti li deve piazzare: o mangi questa minestra o ti butti dalla finestra.
D’altra parte, non è che debba lottare più di tanto: i rendimenti degli investimenti tradizionali sono ormai ridicoli, ben al di sotto dell’inflazione; e l’investitore, o anche il semplice risparmiatore, è sempre alla ricerca di modi di far fruttare quanto più può i suoi soldini; così abbocca con entusiasmo alle promesse di guadagni favolosi che l’elegante promotore gli fa balenare davanti agli occhi mentre gli mette sotto il naso il prospetto da firmare una dozzina di volte, senza nemmeno prendersi la briga di leggerlo.
Anche stavolta hanno abboccato in tanti e fra loro, dicono le cronache, famosi VIP del calibro di Vasco Rossi, Federica Panicucci e Simona Tagli.
Inevitabile, a questo punto, porsi il quesito: anche stavolta il ministro Di Maio si affretterà a promettere il rimborso del maltolto ai malcapitati milionari frodati dalle banche? Potrà il trasgressivo rocker amato dalle folle e spolpato dal suo banchiere farsi ridare dalle casse pubbliche i due milioni e mezzo di euro che gli sono stati soffiati da un banchiere privato?
Se è stato possibile (o è possibile, o sarà possibile) promettere il rimborso ai frodati da Banca dell’Etruria, perché non dovrebbe essere possibile farlo anche all’ormai ansimante rockstar o alle ancheggianti Panicucci e Tagli e agli altri, pur se (è un mio sospetto) dato che investono in diamanti certo non sono fruitori di pensioni al minimo?
O scopriremo invece che i frodati non sono tutti uguali così come (abbiamo appena avuto modo di appurarlo), non tutti siamo uguali davanti alla legge, visto che certi ministri sono molto, ma molto più uguali degli altri?
Io faccio il tifo per Vasco Rossi, Simona Tagli, Federica Panicucci e gli altri: è giusto che anche loro siano rimborsati degli ansimati, ancheggiati o perfino sudati risparmi ingiustamente sottratti loro dalle banche che li hanno frodati. E già che ci siamo, il ministro Di Maio dovrebbe promettere il rimborso anche ai frodati dei bond argentini e della Parmalat. E perché no, anche ai possessori delle mitiche obbligazioni zariste della ferrovia transiberiana. Tanto lo sappiamo, no? Promettere è facile e fa guadagnare un sacco di voti.
Tanto paga Pantalone.
Giuseppe Riccardo Festa
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