
Vi ricordate la deliziosa novella “La giara”, di Luigi Pirandello?
Il protagonista, il protervo don Lollò, proprietario della giara eponima, ogni volta che si presenta un problema, un contrattempo, una qualunque difficoltà, immediatamente grida: “La mula!” intendendo che bisogna sellarla per consentirgli di andare dall’avvocato.
Ognuno lancia le grida che può, questione di mentalità. Don Lollò grida “La mula!”, pensando a processi e tribunali; la maggioranza che esprime il governo attualmente in carica in Italia, invece, senza bisogno di passaggi intermedi grida direttamente “La galera!”, promettendo pene per tutti, dai dodici anni di età in su.
Questione di mentalità, dicevo. Lo conferma la più recente uscita di Elena Donazzan, la sorella d’Italia assessora della Regione Veneto (nota per aver intonato “Faccetta nera” alla radio) che ha affermato che in carcere è alloggiata “la peggiore umanità”.
Insomma, repressione. Non prevenzione, non indagine sulle cause, non educazione e men che meno rieducazione; non rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3, comma 2).
È semplice ed economico, ed è anche popolare: hai commesso un reato, quindi sei delinquente, quindi ti sbatto in galera e ti tolgo dalla circolazione. Così i miei elettori benpensanti (i benpensanti, a ben guardare, sono quelli che pensano le peggio cose, quando qualcosa disturba il loro quieto vivere) sono contenti.
Chissà che direbbe Victor Hugo, che su Jean Valejean, un disgraziato sbattuto in galera per aver rubato del pane (nemmeno per sè, per i suoi parenti affamati) ci ha costruito il suo romanzo più bello? Ma chiedo scusa all’assessora: di sicuro il suo cervello, Dio lo riposi, in tutt’altre faccende affaccendato, a questa roba è morto e sotterrato.
Non basta: c’è che chiede che se un minore commette un reato sia punito il genitore, in barba a quell’altro articolo della Costituzione , il n. 27, che recita: La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. E poi aggiunge: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Ma si sa: curiosamente, gli esponenti di questa maggioranza invocano la Costituzione quando si tratta di difendere la libertà di parola di un generale, anche se quel generale la libertà di parola la usa per calpestarla, quella stessa Costituzione, ma se ne dimenticano se invece si tratta di sbattere in galera i disgraziati, i miserabili, gli ultimi, “la peggiore umanità”, e poi buttare via la chiave.
Beninteso: chi sbaglia deve pagare e i reati vanno puniti. Tutti, auspicabilmente: non mi pare molto educativo fare blitz di polizia in favore di telecamera in un quartiere difficile di Napoli, e intanto strizzare l’occhio con mille condoni e pacche sulle spalle agli evasori fiscali, o invocare mille scuse, attenuanti e giustificazioni, lasciando stridenti unghiate sugli specchi, se le accuse riguardano una ministra presunta bancarottiera, se a condannare il ladruncolo è un partito che allo Stato ha sottratto diecine di milioni, o se il giornalista amico, anzi, convivente, imputa alle vittime di stupro la colpa di essere state stuprate.
Chi sbaglia deve pagare, certo. Ma il compito delle istituzioni (torniamo a quel negletto articolo 3 della Costituzione) dovrebbe essere di prevenire, prima che di reprimere; e capire, prima di giudicare. Insomma, chi è al governo dovrebbe governare, non comandare.
Ma a gente che si ostina a cantare “Faccetta nera” e si vanta di avere quella fiamma nel suo stemma; o a gente che grida “Italia, Italia” e intanto esibisce Alberto da Giussano all’occhiello della giacca (quella che diceva, e ancora pensa “la Padania non è Italia”), non si può chiedere di capire la differenza che corre tra governare e comandare.
Capirlo richiede uno sforzo intellettuale e quella gente, come diceva in Germania un loro antico sodale, quando sente la parola “intellettuale” mette la mano alla pistola.
Giuseppe Riccardo Festa
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