IL BONUS DA 100 EURO E LE STRANE SCELTE DEL GOVERNO: UN’INGIUSTIZIA PER LE FAMIGLIE NON SPOSATE

Una famiglia

Antonio Loiacono

Il recente provvedimento del governo che prevede l’erogazione di 100 euro alle famiglie a basso reddito con figli, ha sollevato alcune questioni che meritano una riflessione più approfondita. Se è condivisibile l’idea di destinare questo piccolo contributo economico alle famiglie con minori risorse, poiché è proprio tra queste che la povertà è più diffusa, meno comprensibile è la discriminazione attuata tra diverse tipologie di famiglie. Si può anche accettare che i 100 euro vengano pensati come un simbolico “regalo di Natale” per le famiglie con ISEE basso, ma è difficile accettare le modalità con cui è verrà distribuito.

Uno dei punti più controversi è che questo bonus è riservato esclusivamente alle famiglie di lavoratori dipendenti! La motivazione addotta dal governo è che si tratterebbe di una parziale compensazione per la mancata detassazione della tredicesima, un’agevolazione che riguarda solo i dipendenti. Tuttavia, questa giustificazione non regge. La detassazione della tredicesima e un bonus straordinario per famiglie con figli sono due cose completamente diverse, per cui è difficile accettare che una venga utilizzata per giustificare l’altra.

Ma c’è di più: anche all’interno della platea dei lavoratori dipendenti, continuano a esserci ingiustizie. Ad esempio, come spesso accade, le collaboratrici domestiche (colf e badanti) vengono escluse da questo bonus. Queste lavoratrici, nonostante il loro ruolo cruciale nelle famiglie italiane, rimangono invisibili agli occhi delle istituzioni quando si tratta di ricevere sussidi o aiuti economici. È una lacuna che il governo continua ad ignorare, eppure si tratta di un gruppo particolarmente vulnerabile e spesso sottopagato.

Tuttavia, l’aspetto più problematico di questo provvedimento è la riserva del bonus solo alle famiglie con genitori sposati. Questa scelta esclude una vasta parte della popolazione, ovvero genitori che hanno figli a carico ma non sono coniugati o che non lo sono più. Ciò colpisce anche i genitori single, che spesso affrontano maggiori difficoltà economiche rispetto alle famiglie tradizionali!

È sorprendente che proprio un governo guidato da Giorgia Meloni, che personalmente ha dimostrato come si possa essere genitori senza essere sposati, abbia voluto legare questo bonus ad un criterio tanto ideologico quanto superfluo. La genitorialità non è legata all’essere sposati, e spesso i genitori single o le coppie non sposate svolgono lo stesso ruolo educativo ed affettivo di qualsiasi altra famiglia. Separare chi è meritevole di un aiuto economico basandosi sullo stato civile è un atto di ingiustizia che rispecchia un’idea obsoleta di famiglia.

Se l’obiettivo di questo bonus è quello di sostenere le famiglie a basso reddito con figli, l’aggiunta del requisito del matrimonio appare come una forzatura ideologica che non ha alcun senso pratico, se non quello di alimentare disuguaglianze tra cittadini. La presenza di figli a carico dovrebbe essere il solo criterio rilevante per la concessione di questo sostegno. Inserire la condizione del matrimonio significa ignorare le numerose realtà familiari che non corrispondono al modello tradizionale, ma che non per questo meritano meno attenzione o sostegno.

Anche se si tratta di un piccolo aiuto una tantum che probabilmente non cambierà la vita di nessuno, la sua impostazione rappresenta un segnale preoccupante di un governo che sembra voler dare priorità a un’idea di famiglia basata su criteri ideologici, piuttosto che sulla realtà delle necessità economiche delle persone.

Il bonus da 100 euro, concepito come un sostegno alle famiglie a basso reddito, si trasforma in un simbolo di discriminazione ed ingiustizia sociale. L’esclusione delle famiglie non sposate e dei lavoratori domestici solleva interrogativi sul reale obiettivo di questo provvedimento. Un aiuto economico dovrebbe basarsi sulle necessità concrete delle famiglie, non sul loro stato civile o sulla natura del loro contratto di lavoro. Il rischio è che questo piccolo “regalo di Natale” si trasformi in un amaro esempio di iniquità istituzionale.

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