
Leggo sui giornali odierni che il papa, durante l’udienza generale, ha stigmatizzato la tendenza delle coppie, al giorno d’oggi, a non fare figli e a riversare su cani e gatti l’amore che dovrebbero piuttosto elargire alla prole. Un discorso che fa eco a quello dello scorso 26 dicembre, in cui invocava la sconfitta di quello che ha chiamato “l’inverno demografico”.
Ho avuto modo, in altre occasioni, di manifestare la mia simpatia per questo papa spesso fuori dalle righe, attento più alla sostanza delle cose che alle sottigliezze dottrinali, e dunque spero che non se la prenderà se in questo caso mi permetto di sollevare qualche obiezione.
In primo luogo, vorrei far notare a sua santità che se è vero, come è vero, che l’Occidente in generale e l’Italia in particolare soffrono di una forte crisi di denatalità, è anche vero che altrove, ad esempio in Africa, in Asia e in Sud America, esiste il problema opposto, con un’esplosione demografica incontrollabile che compensa a usura le carenze occidentali.
Bisognerebbe chiedersi, a questo proposito, se sia giusto che una fetta minoritaria e senescente dell’umanità (la nostra) abbia il diritto di consumare le risorse planetarie in misura spropositatamente superiore rispetto all’altra, molto più numerosa ma per lo più afflitta dalla miseria, quando non dall’indigenza, e da innumerevoli altre conseguenti piaghe: malnutrizione, alta mortalità infantile, sfruttamento e malattie.
Tornando al tema, vorrei far notare a Francesco che la scelta di non fare figli non discende – non necessariamente e non sempre – da disaffezione verso i bambini e innaturale affetto verso gli animali: in Italia, in ispecie, ci sono distorsioni sociali ed economiche che mettono i giovani in difficoltà già quando cercano lavoro. La convivenza di una coppia ha caratteristiche di precarietà tali da mettere in dubbio la possibilità non dico di comperare, ma anche di prendere in affitto e arredare un appartamento; figurarsi allevare uno o più figli. Gestire una casa impone di solito che entrambi i coniugi (o compagni) lavorino, con redditi modesti e ancor più modesta disponibilità di tempo: in simili condizioni, passa la voglia non solo di fare figli, ma perfino di svolgere le attività che per farli sono necessarie. PIù che alle coppie, dunque, bisognerebbe rivolgersi a chi gestisce la politica del Paese per invitarlo a ricordarsi di controllare che i datori di lavoro non sottopaghino i dipendenti, che i contratti siano equi; a promuovere l’assistenza alla maternità e alla paternità, a garantire la conservazione del posto di lavoro alle neomamme, ad assicurare la presenza di asili-nido pubblici e gratuiti e gestiti da personale altamente qualificato e motivato.
Tenersi in casa qualche animale, perciò, diventa non tanto una scelta quanto un ripiego: Micio e Bubi diventano surrogati di quei figli che magari si vorrebbe, ma in coscienza si sa di non poter mettere al mondo, salvo soffrire e far soffrire loro una condizione di povertà senza sbocchi.
Trovo peraltro bizzarro che sia proprio un papa, che insiste a negare ai suoi sottoposti (anch’essi, statistiche alla mano, in paurosa diminuzione) il permesso di sposarsi e di fare figli, a lamentare il problema della denatalità, e questa bizzarria mi spinge a suggerire allo stesso papa una modesta proposta: perché non permettere al clero di sposarsi? Ho il sospetto che la caduta del feticcio del celibato e della castità risolverebbe, alla grande, il problema della carenza di vocazioni e aiuterebbe, anche a risolvere, oltre al dramma della pedofilia negli ambienti ecclesiastici (sul quale Bergoglio, meritoriamente, si impegna da sempre), anche, in qualche misura, quello delle culle vuote.
Ci pensi, santità: lei è sempre stato una persona molto aperta e ragionevole.
Giuseppe Riccardo Festa
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