
Chi non ricorda Gigi Riva o meglio “rombo di tuono”? Forse le giovani generazioni. Un campione del mondo del calcio che ha fatto la fortuna in modo encomiabile della squadra della sua città e della maglia azzurra, sia come calciatore che da dirigente. E’ stato un attaccante formidabile con un particolare fiuto del goal che ha regalato nel 1970 l’unico scudetto al Cagliari.
Non ha mai voluto abbandonare l’isola, rinunciando alle lusinghe addirittura del Presidente Gianni Agnelli che lo voleva alla corte della Juventus, proponendo all’allora Presidente del Cagliari per il suo acquisto una cifra enorme, pari a un miliardo di vecchie lire.
Confesso che non sapevo che fosse stato orfano di entrambi i genitori e che fu adottato nel 1963 da una famiglia di sardi, che l’hanno cresciuto e allevato amorevolmente.
In questi giorni, e mi associo ai tanti che hanno sottoscritto la proposta, si sta discutendo sull’eventuale possibilità di dedicare una statua al campione. Infatti, è stata chiesta al Ministro dell’Interno Salvini una formale deroga alla legge 1188 del 1927 che vieta di dedicare monumenti, lapidi o altro ricordo in luoghi pubblici a persone che non siano decedute da più di dieci anni.
Sembra che il leader della Lega si sia subito mostrato favorevole all’idea, volendo trovare una soluzione agli attuali vincoli burocratici.
Il luogo prescelto dove erigere la statua è il lungomare Sant’Elia. Un posto simbolico e rappresentativo della città di Cagliari.
Gigi Riva merita l’attenzione del pubblico di sportivi non solo da parte dei tifosi cagliaritani, ma di tutti gli appassionati del calcio. Un uomo che ha segnato con coraggio, modestia e lealtà un calcio di una volta, ma anche quello attuale quando ha preso sotto al braccio tanti campioni nel corso del suo ruolo ultra ventennale di team manager della nazionale azzurra.
Il patrimonio Riva è un qualcosa da preservare e da trasferire ai tanti giovani che oggi si avvicinano al grande calcio.
A volte penso che nelle scuole calcio, oltre agli insegnamenti della tecnica, sarebbe il caso a mio modesto avviso che gli allenatori raccontassero ai piccoli anche la storia e l’impegno di tanti campioni del passato che hanno frequentato il rettangolo di gioco.
Valori che a volte, anche in modo troppo abusato, si dice che il calcio attuale li ha ormai persi. Affasciare i piccoli agli esempi di un tempo andato li riconcilia, senza dubbio, con i buoni sentimenti. Potrebbe vale la pena di ricordarsene e provarci.
La speranza è quella che i giovani calciatori possano avere come simbolo non solo i campioni di oggi, ma anche quelli del passato. Dobbiamo pensare che guardare avanti fa bene, ma anche dietro ha il suo forte valore.
Nicola Campoli
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