
■Antonio Loiacono
E anche stavolta, l’ultimo posto è nostro. Con la precisione di un orologio svizzero, il report del Ministero della Salute sul Monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ci assegna nuovamente il ruolo di fanalino di coda. Non che la notizia stupisca nessuno, sia chiaro: la sanità calabrese è ormai una storia già scritta, con la suspense di un film visto troppe volte.
Secondo il monitoraggio, solo tredici Regioni e Province Autonome hanno raggiunto la sufficienza in tutte le aree dell’assistenza sanitaria: Piemonte, Lombardia, Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Puglia e Sardegna. Insomma, l’Italia che funziona.
Poi ci siamo noi, insieme ad Abruzzo, Sicilia e Valle d’Aosta, bocciati in due aree su tre. In particolare, la Calabria fallisce miseramente nella prevenzione e nell’assistenza territoriale. Per dirla senza troppi giri di parole: curarsi è difficile, prevenire ancora di più.
A farci compagnia nella zona rossa ci sono anche la Basilicata, il Molise, la Liguria e la Provincia di Bolzano, che però arrancano in un’unica area. Una magra consolazione: loro almeno si aggrappano a qualche sufficienza, noi no.
Mentre il resto del Paese migliora nell’assistenza ospedaliera, noi continuiamo a faticare su tutto il fronte sanitario. Ospedali con organici ridotti all’osso, liste d’attesa chilometriche, reparti che chiudono o che sopravvivono tra mille difficoltà. Se poi parliamo di cure territoriali, il panorama si fa ancora più desolante: assistenza domiciliare carente, medici di base che scarseggiano, prevenzione che resta un miraggio.
Eppure, sulla carta, la riforma dell’assistenza territoriale avrebbe dovuto portare miglioramenti concreti. Peccato che, nei fatti, questi miglioramenti non si vedano affatto. Aspettiamo, come sempre, che la favola cambi.
Da anni ci raccontano che qualcosa si sta muovendo, che arriveranno fondi, che ci sarà una svolta. Ma il punto è che le promesse non curano i malati, non aprono nuovi reparti, non evitano che migliaia di calabresi ogni anno siano costretti a viaggi della speranza verso Nord per farsi curare.
La sanità è un diritto, e la Calabria merita molto più di una posizione perennemente in fondo alla classifica. Forse è il momento di smetterla di accontentarsi di qualche toppa e di pretendere una sanità degna di questo nome.
Perché va bene il ruolo di Cenerentola, ma qui la carrozza non è mai arrivata, e la mezzanotte è scoccata da un pezzo.
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