
Sarà l’età. Ma trovo sempre più insopportabile il vezzo, ormai dilagante, di rivolgersi a chicchessia, anche se non lo si è mai visto prima nemmeno una sola volta ed anche se ha trenta o quarant’anni di più, dandogli del “tu” come se invece fosse un amicone di vecchia data o, al contrario, lo si considerasse uno spregevole servo della gleba: tutti, senza nemmeno pensarci, danno del “tu” ai mendicanti, quale che ne sia il colore, e agli immigrati neri, quale che ne sia il background: sono mendicanti o neri, e tanto basta.
Beh, quasi tutti. Io no.
Sui social network è quasi una regola, per non dire una legge; e lo è anche alla radio, dove fra gli ascoltatori che intervengono telefonicamente e i conduttori il “tu” è la normalità; ma ho notato che Marco Presta, una delle anime de “Il ruggito del coniglio”, quando ha gli ospiti in studio per il “coniglio da camera” si rivolge a loro con un educatissimo “lei”.
Posso capire, o meglio posso accettare di subire, che questo “tu”, irritante e incivile, lo usino le persone di scarsa cultura; ma lo trovo insopportabile da parte di persone che, almeno in teoria, di cultura dovrebbero possederne un più elevato grado. Mi è capitato poche settimane fa di dover ricorrere a una giovane dottoressa, una pischella nemmeno trentenne, che sostituiva il padre che a sua volta sostituiva il mio medico di famiglia, assente per ferie. Senza avermi mai visto prima, la dottorina mi si rivolgeva con un “tu” che puzzava di supponenza e di io sono io e tu non sei un ca**o, nella più spocchiosa delle accezioni alla marchese del Grillo.
Io, a chi non conosco, do del “lei” anche sui social network. Come accade nella ben più civile Francia, considero il “tu” un traguardo non necessario e ancor meno obbligatorio, cui si può arrivare solo se e quando il grado di reciproca confidenza e intimità è tale da trasformare in amicizia un rapporto che altrimenti deve restare su un piano di civile formalità. Fino a quel momento, per cortesia, a maggior ragione se fra noi c’è un’invalicabile montagna di anni, desidero che ognuno, a partire da me, stia al suo posto.
Sia ben chiaro: non mi sogno nemmeno di invocare il vituperato “lei non sa chi sono io”. Al contrario voglio mantenere le distanze perché, primo, io non so chi lei sia; e, secondo, di saperlo non potrebbe fregarmene di meno.
Giuseppe Riccardo Festa
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