
■Antonio Loiacono
Nella seduta odierna alla Camera dei Deputati (sospesa e rimandata alle ore 16 di oggi), la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha infiammato il dibattito politico con una reinterpretazione controversa del Manifesto di Ventotene, il documento simbolo dell’europeismo scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941, mentre erano confinati dal regime fascista.
Meloni, intervenendo in replica al dibattito in vista del Consiglio Europeo, ha dichiarato:
“Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”,
sottolineando, a suo dire, passaggi del manifesto che evidenzierebbero una visione antidemocratica.
Le parole della Premier hanno scatenato la reazione immediata delle opposizioni, in particolare del Partito Democratico, portando il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, a sospendere la seduta per riportare l’ordine in aula.
Il Manifesto di Ventotene, scritto in un’Europa devastata dal nazifascismo e dalla guerra, delineava un progetto visionario: la creazione di una federazione europea basata su un governo e un parlamento democratico, capace di superare il veleno dei nazionalismi che avevano portato ai conflitti mondiali.
Nella sua rilettura, Meloni ha però enfatizzato alcuni aspetti del testo che, secondo la sua interpretazione, sottintendono una visione centralista e tecnocratica dell’Europa, lontana dai principi di sovranità nazionale. Un’analisi che ha trovato consensi nel centrodestra, ma che è stata duramente respinta dalle opposizioni, che accusano la Premier di strumentalizzare un documento storico per giustificare un’agenda euroscettica e nazionalista.
Il fronte progressista, con in testa Elly Schlein (PD), ha ribadito con fermezza che il Manifesto di Ventotene non è un trattato ideologico, ma un atto di resistenza contro le dittature, e che il suo obiettivo non era la creazione di un super-Stato burocratico, bensì di un’Europa unita, democratica e solidale.
“Meloni sta riscrivendo la storia a suo uso e consumo, cercando di legittimare la sua idea di un’Europa delle nazioni, fondata su veti e chiusure, anziché su cooperazione e diritti condivisi” – ha dichiarato un deputato dell’opposizione.
Altri esponenti politici, tra cui Carlo Calenda (Azione) e Giuseppe Conte (M5S), hanno espresso preoccupazione per un tentativo di revisionismo politico, che rischia di isolare ulteriormente l’Italia nel contesto europeo.
Al di là della polemica contingente, l’intervento di Giorgia Meloni si inserisce in un dibattito più ampio: che tipo di Europa vuole l’Italia?
Da un lato, il modello promosso dal centrodestra, che vede nell’UE un’alleanza tra Stati sovrani, ciascuno libero di esercitare il proprio peso con veti e decisioni autonome.
Dall’altro, l’idea sostenuta dal centrosinistra e dai federalisti europei, che credono in un’Europa più integrata, con una governance comune forte, capace di rispondere alle grandi sfide globali con unità e visione strategica.
La divergenza non è solo teorica, ma si riflette già nei dossier più caldi:
Politica estera e difesa comune: Meloni predilige una cooperazione volontaria tra Stati, mentre i federalisti spingono per un esercito europeo.
Economia e bilancio UE: Il governo italiano difende la flessibilità nazionale, mentre altri Paesi chiedono regole comuni più stringenti.
Gestione dei flussi migratori: Meloni ha più volte invocato soluzioni nazionali, mentre l’UE tenta di coordinare una risposta comunitaria.
Questa polemica non è solo uno scontro di vedute sul passato, ma uno specchio della battaglia politica per il futuro: il confronto tra chi sogna un’Unione più coesa e chi la vorrebbe ridimensionata a un insieme di Stati indipendenti si farà sempre più acceso.
La domanda resta aperta: sarà il Manifesto di Ventotene o la visione sovranista a guidare la prossima fase dell’Europa?
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