
■Antonio Loiacono
Nel giro di meno di 24 ore, la proposta di legge avanzata dalla Lega per vietare l’uso del femminile nei titoli professionali ed istituzionali ha scatenato una tempesta di polemiche e critiche, costringendo il partito a ritirare il disegno di legge. La proposta, firmata dal senatore Manfredi Potenti, prevedeva multe fino a 5.000 euro per chi non si fosse adeguato alle nuove disposizioni linguistiche, impedendo l’uso di termini come “avvocata” e “sindaca”.
Il ddl, intitolato “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere”, mirava a mantenere i titoli pubblici e professionali esclusivamente nella forma maschile, considerata neutra. Secondo la proposta, il divieto si estendeva a tutte le istituzioni dello Stato, gradi militari, titoli professionali ed onorificenze. L’iniziativa era motivata dalla volontà di preservare, come dichiarato nel testo, “l’integrità della lingua italiana” e prevenire “deformazioni letterali” che deriverebbero dalla parità di genere.
Le reazioni alla bozza non si sono fatte attendere. Le opposizioni hanno subito bollato la proposta come un passo indietro nella lotta per la parità di genere. Luana Zanella, capogruppo di AVS alla Camera, ha denunciato la legge come “misogina” e “ridicola”, mentre Michela Di Biase del PD ha criticato la Lega per tentare di “sanzionare chi parla correttamente l’italiano”. Anche la sociolinguista Vera Gheno ha definito la proposta come una manifestazione di “ignoranza storica e linguistica”, paragonandola a misure repressive di regimi totalitari.
Di fronte alla valanga di critiche, il partito ha deciso di fare marcia indietro. I vertici della Lega hanno precisato che la proposta di legge era “un’iniziativa personale” del senatore Potenti e non rifletteva la linea ufficiale del partito. Il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, ha annunciato che il testo è stato ritirato e non sarà più discusso.
La decisione di ritirare la proposta arriva dopo una giornata di intense polemiche e pressioni sia dai partiti di opposizione che dall’opinione pubblica. Il vicepresidente della Camera, Sergio Costa del M5S, ha descritto la proposta come una “boutade estiva” volta a ottenere visibilità, mentre Chiara Gribaudo del PD ha sottolineato la necessità di rimanere vigili su un governo che, nonostante la presenza di una premier donna, sembra promuovere un modello patriarcale.
Con il ritiro della legge, il dibattito sul linguaggio di genere e sulla sua regolamentazione continua a essere un tema caldo nel panorama politico italiano, rivelando profondi contrasti su questioni di identità e inclusività.
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