
■Antonio Loiacono
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, a poche ore dalla festa delle donne, lo schema di disegno di legge che introduce nel codice penale italiano il reato di femminicidio, qualificandolo come un delitto autonomo. Questo significa che l’omicidio di una donna non sarà più considerato alla stregua di un qualsiasi altro crimine, ma verrà riconosciuto per quello che è: un atto di odio di genere, di discriminazione, di annientamento della libertà e dei diritti femminili.
Questa decisione segna un momento storico per l’Italia, dove la violenza sulle donne continua a essere un’emergenza quotidiana. I numeri sono allarmanti: una donna uccisa ogni tre giorni nel 2024, sei vittime nei primi mesi del 2025. Non si tratta di “raptus”, non si tratta di “crimini passionali”: è un fenomeno strutturale che affonda le sue radici in una cultura patriarcale che non accetta la piena autodeterminazione femminile.
Il provvedimento introduce il reato di femminicidio per chiunque uccida una donna per odio di genere, per motivi di discriminazione o per ostacolare l’esercizio dei suoi diritti e della sua personalità. La pena prevista è l’ergastolo, con aggravanti specifiche per i casi di maltrattamenti in famiglia, stalking, revenge porn e minacce, con aumenti di pena fino a due terzi.
Ma la riforma non si ferma alla sola repressione. Tra le altre misure previste, ci sono:
- Limitazioni ai benefici carcerari per i detenuti colpevoli di reati legati alla violenza sulle donne.
- Presunzione di adeguatezza degli arresti domiciliari nelle misure cautelari, per evitare scarcerazioni troppo facili.
- Informazioni obbligatorie ai parenti delle vittime in caso di scarcerazione, revoca o sostituzione delle misure applicate all’imputato.
- Maggiori tutele per le vittime e i loro familiari, rafforzando il diritto a essere informati e coinvolti nei procedimenti giudiziari.
L’introduzione del reato di femminicidio è un segnale importante, un atto che riconosce finalmente la specificità della violenza di genere, ma resta solo un primo passo. Per fermare questa strage serve un cambiamento culturale radicale, che passi attraverso l’educazione, la prevenzione e una rete di protezione efficace per le donne che denunciano.
Non basta punire chi uccide: bisogna impedire che si arrivi a uccidere. Bisogna ascoltare le vittime prima che sia troppo tardi, bisogna garantire protezione reale, bisogna smettere di trattare la violenza sulle donne come un problema secondario.
Oggi l’Italia riconosce il femminicidio per quello che è: non un delitto qualunque, ma l’esito estremo di una società che ancora fatica ad accettare la libertà delle donne. Ma una legge, da sola, non fermerà la violenza. Il vero cambiamento sarà nella volontà politica e sociale di affrontare questo problema con tutti gli strumenti possibili, prima che altre vite vengano spezzate.
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