
■Antonio Loiacono
La Corte di Cassazione si è pronunciata su uno dei casi più discussi della politica italiana degli ultimi anni: il trattenimento a bordo della nave Diciotti di un gruppo di migranti soccorsi in mare dalla Guardia Costiera tra il 16 e il 25 agosto 2018, durante il mandato dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini (primo governo Conte). Le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso dei migranti, riconoscendo la violazione dei loro diritti e condannando il Governo italiano al risarcimento per i danni subiti a causa della privazione della libertà.
La sentenza chiarisce un punto fondamentale: il rifiuto di autorizzare lo sbarco non può essere considerato un atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. I giudici della Cassazione hanno sottolineato che non si trattava di una decisione legata alla “suprema direzione generale dello Stato”, ma di una funzione amministrativa che, pur inquadrata in un indirizzo politico, doveva rispettare le normative internazionali e nazionali.
Questo passaggio è cruciale perché sgombra il campo da interpretazioni che vorrebbero l’episodio giustificato come una scelta discrezionale del Governo. Secondo la Corte, il blocco prolungato dei migranti a bordo della nave ha costituito una violazione del diritto internazionale e della legislazione italiana, che riconoscono il soccorso in mare come un dovere inderogabile.
Un altro punto chiave della sentenza riguarda il principio del soccorso in mare, definito dai giudici come una “regola consuetudinaria” che trova fondamento nelle principali convenzioni internazionali e nel diritto marittimo italiano. Questo obbligo impone a qualsiasi soggetto, pubblico o privato, di prestare assistenza a persone in pericolo, indipendentemente dal loro status giuridico o dalle politiche di contrasto all’immigrazione irregolare.
Nel caso della Diciotti, i migranti erano stati già soccorsi da un’unità della Guardia Costiera italiana, che aveva quindi assunto la responsabilità delle operazioni e avrebbe dovuto concluderle garantendo lo sbarco nel minor tempo possibile. Il prolungamento forzato della permanenza a bordo, secondo la Cassazione, ha violato questo principio, causando ai migranti un danno per il quale il Governo è stato ritenuto responsabile.
Il verdetto della Cassazione non solo ribalta la difesa politica dell’episodio, ma apre anche un precedente importante sulle responsabilità dello Stato in materia di gestione dei flussi migratori. La decisione arriva in un contesto in cui il tema dell’immigrazione continua a essere centrale nel dibattito pubblico, spesso affrontato con toni ideologici e scontri tra diverse visioni politiche.
Da un lato, i sostenitori della sentenza la vedono come una riaffermazione dello Stato di diritto e del rispetto dei principi umanitari. Dall’altro, chi difende le scelte dell’epoca sostiene che si trattasse di una strategia per contrastare l’immigrazione irregolare e che il Governo agì nell’interesse nazionale.
Resta ora da stabilire l’entità del risarcimento, che sarà quantificata dal giudice di merito. Ma la sentenza della Cassazione segna un punto fermo: il rispetto delle norme internazionali e dei diritti umani non può essere subordinato a scelte politiche contingenti.
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