
♦Antonio Loiacono
L’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran rappresenta un ennesimo capitolo inquietante nella repressione della libertà di stampa e nei rapporti tesi tra Teheran e l’Occidente. La sua detenzione dal 19 dicembre scorso solleva domande fondamentali non solo sulla sicurezza dei reporter che operano in scenari internazionali complessi, ma anche sulla capacità del governo italiano di tutelare i suoi cittadini all’estero.
L’intervento dell’ambasciatrice Paola Amadei, ricevuta dal ministero degli Esteri iraniano, dimostra che l’Italia sta cercando una via diplomatica per ottenere il rilascio immediato di Sala. Tuttavia, la richiesta di poterle almeno far arrivare generi di prima necessità suggerisce che la sua situazione in carcere potrebbe essere tutt’altro che semplice. Intanto, Palazzo Chigi assicura di essere al lavoro, ma il riferimento al trattamento “rispettoso della dignità umana” fa temere il peggio sulle condizioni in cui la giornalista potrebbe trovarsi. Il silenzio delle autorità iraniane sulle accuse specifiche a suo carico non fa che alimentare ulteriori preoccupazioni.
A complicare ulteriormente il quadro è il parallelo con l’arresto in Italia dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini, fermato su richiesta degli Stati Uniti a Malpensa il 22 dicembre. Teheran, come prevedibile, chiede la sua liberazione e, vista la tempistica degli eventi, il rischio che il governo iraniano voglia utilizzarlo come merce di scambio è più che concreto. La diplomazia italiana si trova quindi stretta tra due fronti: da un lato la pressione di un regime che non si fa scrupoli nell’arrestare giornalisti e cittadini stranieri per fini politici, dall’altro la necessità di mantenere i delicati equilibri con Washington, che ha chiesto il fermo di Abedini.
Il caso di Cecilia Sala non è un episodio isolato. L’Iran ha un triste primato in fatto di repressione dei giornalisti, ed il trattamento riservato alla reporter italiana conferma la volontà del regime di zittire le voci scomode, anche quando provengono dall’estero. È fondamentale che l’Italia e l’Unione Europea facciano sentire con forza la propria voce. Chiedere il rilascio di Sala non può ridursi a una mera formalità diplomatica: serve un’azione decisa, anche attraverso strumenti di pressione politica ed economica. La detenzione di Cecilia Sala è una ferita per la libertà di informazione ed un test per la diplomazia italiana. L’opinione pubblica non può abbassare l’attenzione, perché la storia insegna che solo mantenendo alta la pressione internazionale si può sperare di ottenere giustizia in casi come questo.
Ora l’unica priorità è riportare Cecilia Sala a casa sana e salva. Il governo Meloni, questa volta, sarà giudicato dai fatti, non dalle dichiarazioni.
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