MELONI DA TRUMP: TV, SORRISI E FAZIONI

Alla fine della fiera, tutto è andato come previsto: servizi televisivi, grandi pacche sulle spalle, sorrisi, complimenti, “che brava che sei Giorgia”, “che bei capelli che hai Donald”, “come sta la bambina”, “che mi dici di quella gran gnocca di Melania”.

Non è mancato l’immancabile “non l’ho mai detto” (copyright dei politici di destra) girato alla seconda persona singolare, quando un giornalista ha chiesto a Meloni cosa pensasse del termine “parassiti” che Donald aveva attribuito agli europei. Mancava solo il karaoke, e già mi immagino il repertorio: lei “Io te voglio bene assaje” e “In ginocchio da te”, lui “Così piccola e fragile”, insieme “Il gigante e la bambina”.

Alla fine, al di là della conferma della reciproca stima personale e dell’autoattribuita carica di pontiera fra l’Europa e gli USA che Meloni si è appuntata sul bianco bavero (carica proditoriamente sottratta a Salvini che di ponti, lo sappiamo bene, crede di intendersene); al di là del principio condiviso che l’idea di nazione debba avere la precedenza su ogni idea di solidarietà, di umanità e financo – in barba alle ostentate esibizioni di fede – di cristianità (entrambi adorano deportare gli immigrati); al di là di tutto questo, che cosa porta a casa Giorgia Meloni, dopo la sua visita a Washington?

Secondo gli osannanti suoi sodali di casa nostra, un grande successo; secondo i suoi avversari, un bel sacco pieno di aria fritta.

Considerato che Trump, al di là dei sorrisi, delle pacche sulle spalle e dei complimenti, non ha spostato di una virgola le sue posizioni sui dazi, che poi era il motivo principale della trasferta americana del(la?) nostr(o o a?) presidente del Consiglio, l’impressione (mi tocca concordare con gli avversari di Meloni, ma si sa che sono fazioso) è che, al netto dei salamelecchi e dei volemosebene, che in effetti Meloni ha raccolto in quantità industriali, gli esiti concreti dell’incontro non siano stati poi così esaltanti: se ho capito bene, ci sarà collaborazione con la NASA per la conquista di Marte. Bene, bravi, sette più: chissà quanto questa collaborazione farà piacere ai pensionati al minimo, qui da noi.

Ora Giorgia Meloni torna in Italia, dove avrà il discutibile piacere di incontrare J.D. Vance, il vice di Trump gradevole come un cetriolo sottaceto in mezzo a un bignè alla crema, per poi tornare a doversi occupare dei problemi del nostro Paese. Intanto è alle porte il 25 aprile, e lei dovrà barcamenarsi fra i doverosi omaggi alla Liberazione e la sua dichiarata antipatia verso chi quella Liberazione ci ha offerto (vedi sue dichiarazioni sul Manifesto di Ventotene). E poi ci sono i  giovani che se ne vanno all’estero, il potere d’acquisto dei salari crollato, il territorio che si sbriciola e si liquefa ad ogni ondata di maltempo, i treni che partono e non arrivano a destinazione, e se ci arrivano se la prendono comoda, il sistema sanitario scricchiolante, l’utilizzo dei fondi PNRR in ritardo, il sistema fiscale iniquo, l’INPS che denuncia buchi miliardari, guarda caso a causa delle iniquità (leggi: dei condoni) del sistema fiscale, i ministri sotto inchiesta, la scuola disastrata, il sistema giudiziario inefficiente con riforme che lo aiutano a peggiorare…
Dice: eh, ma l’occupazione è a livelli mai visti prima! Già. Peccato, però, che si consideri occupato anche chi lavora anche solo un paio d’ore alla settimana.

Ohibò, mi direte: ma allora tu, fazioso che non sei altro, non credi alle magnifiche sorti e progressive che attendono la nostra Patria grazie al governo di Giorgia Meloni? In effetti no, non ci credo. Che ci volete fare? Da un pezzo, oramai, ho smesso di credere a Babbo Natale, alla Fata dei Dentini, a Cappuccetto Rosso e alle chiacchiere dei politici.

Vedi poi questi politici.

Giuseppe Riccardo Festa

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