SANREMO, TERREMOTO AL FESTIVAL: TUTTO CAMBIERA’ AFFINCHE’ NULLA CAMBI

Marino Bartoletti, giornalista arguto ed esperto di musica leggera oltre che di sport, ha detto una volta a proposito del festival di Sanremo che gli italiani si dividono in due categorie: quelli che lo guardano e quelli che dicono di non guardarlo. Apprezzo l’ironia di Bartoletti, ma debbo smentirlo: ci sono anche italiani (per esempio io) che il festival non solo dicono di non guardarlo, ma non lo guardano per davvero.
Per alcuni anni, forse qualcuno dei lettori di Cariatinet se lo ricorda, l’ho seguito con eroica determinazione assistendo, dopo decenni di cantanti maschi in smoking e di cantanti donne in mise da sera, che gorgheggiavano di cieli immensi e di immensi amori, al progressivo scivolare della kermesse verso uno stile cafonal sempre più spinto sia nell’abbigliamento e nel comportamento degli interpreti che nei testi delle canzoni. Intanto nelle canzoni stesse – in teoria le protagoniste del festival – la melodia gradualmente ma con sempre maggiore determinazione era sostituita dai ritmi rap: la moneta cattiva scaccia quella buona, è una legge economica ma non solo. Col progressivo, inesorabile declinare della cultura musicale, il pubblico diventava sempre meno esigente e disposto ad accontentarsi di roba facile e non impegnativa, così legittimando il successo dei vari Frankie Hi-nrg, Madame, Fedez, Geolier, eccetera.

Così qualche anno fa, preso atto che Amadeus, direttore artistico con le antenne ben orientate verso il mercato, trionfava riempiendo il palco dell’Ariston di ragazzotti e ragazzotte coperti di tatuaggi e borbottanti le loro filastrocche, insopportabili per le mie orecchie aduse a ben altri ritmi e ben altri suoni (O freunde, nicht diese Thöne!), io davo forfait e abbandonavo un rito che si era ormai trasformato in un martirio.

Bisogna però ammettere che, se si ragiona appunto in termini di mercato, ad aver ragione era Amadeus, perché nei cinque anni della sua conduzione, per i motivi che ho detto, i dati di ascolto e i conseguenti introiti pubblicitari, per la RAI, sono schizzati alle stelle. E infatti Carlo Conti, successore di Amadeus al timone del festival, almeno per il 2025, ha fiutato l’aria e, promettendo come sempre di aver voluto premiare la qualità, in realtà ha badato bene a non scontentare mercato, discografici, Comune di Sanremo e RAI e, come dimostra la lista dei cantanti che ha selezionato, ha proseguito sulla scia del suo predecessore.

Poco importa che il festival sia prolisso, interminabile, chiassoso, kitsch e spesso vittima di vertiginose cadute di gusto; poco importa che i brani in concorso siano di regola di qualità modesta, quando non scadente, e condannati per lo più all’oblio nel giro di pochi mesi quando non di poche settimane; poco importa che nel corso delle serate quei brani finiscano col passare in secondo, quando non in terzo piano, nel gran turbillon di ospiti, interventi, intermezzi e soprattutto di inserti pubblicitari assillanti, ripetitivi e stucchevoli (pensate al Grana Padano che fa venire voglia di dargli l’otto per mille, agli artigiani della qualità, alla voce fessa che promuove le automobili Suzuki).

Poco importa: il festival fa gola. E così il ricorso di un produttore discografico ha fatto scoprire al TAR della Liguria che la RAI non ha il diritto all’esclusiva, e a partire dal prossimo anno il Comune di Sanremo dovrà indire una gara pubblica.

Piatto ricco, mi ci ficco: Mediaset, Warner, La7 di Cairo e naturalmente la RAI faranno carte false per aggiudicarsi il festival del 2026.

Per gli spettatori non cambierà molto: il festival, chiunque se lo aggiudichi, continuerà a propinare al pubblico pessime canzoni (ammesso che un rap possa essere definito “canzone”) intervallate da interminabili quanto insopportabili inserti pubblicitari. L’unica novità riguarderà la gara vera: non quella canora, ma quella fra le emittenti che, a suon di milioni, si contenderanno la kermesse. Insomma i veri vincitori saranno il Comune di Sanremo, che fra tanti pretendenti potrà scegliere il miglior offerente, e il direttore artistico di turno, che attento a non scontentare i discografici, gli inserzionisti e il committente, di quei milioni si porterà a casa una generosa porzione.

Con poche eccezioni (fra le quali io), il pubblico, vuoi per noia, vuoi per abitudine, vuoi per curiosità, continuerà a premiare la rassegna con ascolti da capogiro anche perché le altre emittenti, al festival, come da sempre succede faranno concorrenza alla rovescia e di fatto lo promuoveranno, mandando in onda fondi di magazzino.

Perché Sanremo, ahinoi, è Sanremo.

Giuseppe Riccardo Festa

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