
Riassumendo: per guidare bisogna avere la patente di guida; per viaggiare in treno ci vuole il biglietto, e pure il supplemento se sei su un treno “Freccia”; su un aereo, senza carta d’imbarco, non sali nemmeno se ti metti a cantare in serbo-croato l’inno nazionale del Turkmenistan; se vuoi comperare delle medicine la tessera sanitaria la devi esibire, altrimenti niente sconti sulla denuncia dei redditi; per spese superiori a 1000 euro (prima erano 3000), o fai un bonifico o usi la carta di credito e se usi la carta di credito devi digitare il PIN; per disporre di un telefono cellulare devi comunicare tutte le tue generalità alla società telefonica, che poi le riferisce all’autorità di pubblica sicurezza; lo stesso devi fare se vai in albergo; se espatri e vai fuori della Comunità Europea, devi avere il passaporto; se viaggi in autostrada o hai il telepass o devi per forza prendere il biglietto in entrata.
Questo, per quanto riguarda le limitazioni della libertà, e in qualche misura anche per quanto riguarda la riservatezza dei dati personali.
La riservatezza dei dati personali, poi, va a remengo ogni volta che ci si mette in tasca lo smart-phone, che permette di localizzarne il portatore ovunque vada, perfino in mezzo al deserto del Sahara o fra i monoliti dell’Isola di Pasqua; e poi, viaggiando, chi non usa un navigatore satellitare, che è come mettere una freccia luminosa sopra l’automobile che dice a chi sa come cercarla l’esatta posizione in cui si trova? Non parliamo di Google, Instagram, Tweeter, Whatsapp, Facebook: se uno s’azzarda a fare anche di sguincio un accenno, che so, al prosciutto di Parma, è sicuro che subito dopo, ogni volta che entrerà in rete, si troverà una pioggia di “flag” che gli dicono quanto è dolce questo, quanto è magro quello, quanto è conveniente quell’altro, e questo praticamente vita natural durante. Come se non bastasse, ogni volta che si accede su un sito, per fretta o noncuranza, si mette uno sbrigativo “accetto” sull’avviso riguardante i “cookie”, così autorizzando quel sito a curiosare nei fatti propri.
Però il problema, per tante persone che tutto questo lo fanno, e lo fanno continuamente e senza porsi l’ombra di un problema, è che con la vaccinazione anti-Covid si lede la loro libertà di scelta e col “green pass” si invade la loro riservatezza o, per dirla all’inglese, la loro “privacy”.
Ma non è colpa loro: è che li hanno imboniti così e imbonirli, a loro, che si credono tanto furbi, è tanto facile che finiscono per farti tenerezza. Certo, poi viene il giorno che finiscono in terapia intensiva, magari togliendo il posto a uno che ha avuto un incidente o un infarto, e ti fanno meno tenerezza, a maggior ragione se insistono a ritenersi furbi.
Però bisogna comunque curarli: anche se fanno rabbia e anche se, pure con la maschera dell’ossigeno, continuano a vaneggiare di “big-pharma”, di 5G nei vaccini e di complotti e anche se continuano a prendersela con tutti meno che con sé stessi e col Sars-Covid19, novelli don Ferrante che morì di peste, come racconta Manzoni, prendendosela con le stelle e i pianeti anziché col maledetto Yersinia Pestis. Sì, bisogna curarli e con la massima cura e dedizione: anche se fanno rabbia.
E anche se non se lo meritano.
Giuseppe Riccardo Festa
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