
Cari compaesani Cariatesi,
a proposito della prossima festa in onore di San Cataldo,mi è giunta voce di un certo disagio provocato dalla decisione del Vescovo di ripristinare una antica usanza legata ai festeggiamenti del nostro Santo protettore.
Mi permetto di produrre “di getto” un tentativo di riflessione scusandomi per la forma affrettata,forse,ma suggeritemi dal cuore più che dalla penna.
Premesso che ogni novanta/cento anni avviene il cambio generazionale,nostra premura dovrebbe essere la conservazione di ciò che contraddistingue la nostra identità, che in parte ci viene tramandata dai nostri predecessori.Vero è che tante cose sono soggette al cambiamento nel corso del passaggio generazionale, ma ripristinare ciò che “è stato”dovrebbe costituire motivo di rinascita e di una bella “rinfrescata” di ciò che costituisce l’identità di una comunità.
In questi casi,visto che gli anziani costituiscono la memoria di una comunità,sono loro che diventano la fonte alla quale attingere;senza dimenticare che tutti noi,a turno,diventiamo“memoria”per il nostro prossimo.
Senza correre il rischio di perdermi in una analisi sociologica (non ne sono capace),mi permetto di tramandarvi ciò che a me ha tramandato la mia mamma (la cara zia Peppina) a proposito dei festeggiamenti in onore di San Cataldo.E quale fonte potrebbe essere più attendibile di mia madre,visto che lei ha perso la sua mamma proprio durante lo svolgimento di questa festa tanto cara ai Cariatesi.
Naturalmente torniamo indietro di almeno 70/80 anni visto che mia madre avrebbe ora superato i novanta e io i sessanta.
Il giorno della processione,San Cataldo veniva portato in spalla dalla Cattedrale alla Pannizzara e li,alla Pannizzara,veniva imbarcato e si raggiungeva la “Cappella” in barca (come avviene con San Rocco,che a differenza di San Cataldo,è una festa “giovane”).
Da premettere che tanta gente si recava alla Cappella la sera del 9 maggio per pregare e dormire là in modo da aspettare San Cataldo che veniva dalla Cattedrale.Una specie di veglione o come si dice oggi,veglia di preghiera con tanto di dormita!
Giorno 10,dopo l’arrivo del santo “a casa sua” tutta la popolazione si recava nei campi adiacenti la Cappella(non c’erano le case di oggi) e si faceva “u pascune”cioè si pranzava nei campi:e questi sono i ricordi anche di quelli della mia età:e come dimenticare le “cascette piene i ru mangiar” (immancabile la frittata) che si “carriavano”lungo la spiaggia……..
Naturalmente,dopo l’arrivo del santo c’era la riffa del “majo” e anche di qualche agnellino.
(Non si sentiva nell’aria quella puzza orrenda dei wurstel)!!!!!!
San Cataldo rimaneva nella sua casa circa 20 giorni,poi si “andava a prenderlo”.La vigilia del giorno stabilito (mi pare che fosse una delle prime domeniche di giugno) chi lo desiderava andava a dormire alla Cappella,una veglia simile a quella della notte del 9;poi il giorno dopo si formava la processione del ritorno in Cattedrale e la processione si snodava per le vie della Marina e del centro storico.
Non esprimo giudizi sulla “querelle” che è sorta intorno a questo argomento ma mi preme solo trasmettere quello che era nel passato questa festa.
E,visto che sono in vena di vecchi ricordi,ve ne regalo un altro legato alla Settimana Santa:magari per questo anno vada come vada,ma il prossimo anno ripristinate “la vecchia usanza” che aveva anche una motivazione liturgicamente appropriata.
La sera del Venerdì Santo,durante la celebrazione dei riti della Passione,a un certo punto dell’omelia,il predicatore (generalmente era un missionario Passionista) “chiamava la Madonna” e la invitava a recarsi sotto la croce ad abbracciare suo figlio:si spalancava la porta della sacrestia e Maria Addolorata veniva portata di fronte alla bara di Gesù che stava in mezzo alla navata centrale.Un momento di grande emozione che i fedeli presenti vivevano con grande emotività e compostezza.
Infatti,ci si preparava alla partecipazione,in Cattedrale, ai riti della Passione del venerdì con l’espressione
“chiamano a Maronna”.
Alla fine della cerimonia liturgica la bara con Gesù morto e Maria rimanevano tutta la notte in Cattedrale per l’omaggio dei fedeli che andavano in giro per le altre chiese di Cariati in visita “ai Sepolcri”.
E ciò non è forse un richiamo alla veglia funebre che si fa a un nostro defunto?
Al sabato mattino,all’alba,ci si recava tutti in Cattedrale per la processione.E qui ci son da fare alcune precisazioni.Perchè al Sabato Santo mattina?Un richiamo alla visita delle donne al sepolcro,come si racconta nei Vangeli,ma anche Maria che va in cerca del figlio.
La processione si svolgeva così:alle sette precise del mattino esce la bara con Gesù morto e si avvia verso il Calvario (quanti si ricordano che il sito del monumento ai Caduti è detto Calvario?);lì avverrà l’incontro del Figlio con la Madre;quando la bara con Gesù è a Porta Pia,esce dalla cattedrale Maria Addolorata “in cerca del Figlio” e questa ricerca è resa visibile dalla distanza che Maria ha dalla bara.Si deve mantenere questa distanza per “vivere” questa ricerca del Figlio.Quando la bara arriva al Calvario (al monumento ai Caduti),Maria è ancora al Ponte e poi avviene l’avvicinamento.Madre e Figlio sono vicini allora il celebrante fa una breve omelia.Poi la processione prosegue fino alla Marina rispettando una certa distanza tra Maria e suo Figlio.
Ah,dimenticavo:non essendoci il suono delle campane,la processione si seguiva con il suono “i ra toccheta” cioè con delle trottole di legno,immancabili fra tutti i ragazzi.
Cari amici,vi ho trasmesso questi ricordi legati alla nostra comunità cariatese.Ripristinare il passato potrebbe rivelarsi fonte di ricchezza spirituale e di rinnovamento,perché no? Mi permetto di riportare un commento del caro Papa Francesco a proposito della pietà popolare e liturgia:
“Una grande varietà e ricchezza di espressioni corporee,gestuali e simboliche caratterizza la pietà popolare.Si pensi esemplarmente all’uso di baciare o toccare con la mano le immagini,i luoghi,le reliquie egli oggetti sacri;intraprendere pellegrinaggi e fare processioni.Simili espressioni,cge si tramandano da secoli di padre in figlio,sono modi diretti e semplici di manifestare esternamente il sentire del cuore e l’impegno di vivere cristianamente.Senza questa componente interiore c’è il rischio che la gestualità simbolica scada in consuetudini vuote e,nel peggiore dei casi,nella superstizione”
Credetemi, le nostre belle e antiche usanze Cariatesi sono impregnate di senso liturgico e teologico.
Buona Pasqua a tutti e buon San Cataldo
Cataldo Russo “secutacrist”
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