LA GUERRA ALLA GRAMMATICA: LA LEGA ED IL TENTATIVO DI MULTARE LA LINGUA ITALIANA

Manfredi Potenti

Antonio Loiacono

Ah, il fascino delle estati italiane, con le sue giornate lunghe, il gelato e… le polemiche legislative che sembrano uscite da un romanzo satirico! Questa volta, il Carroccio ci ha regalato un piccolo gioiello di discussione estiva: un disegno di legge per multare chi osa utilizzare il genere femminile nei titoli professionali ed istituzionali. Avete capito bene, basta con “avvocata” e “sindaca”, o si rischia una multa fino a cinquemila euro. E no, non è una puntata di “Scherzi a Parte”!

Il protagonista di questa tragicomica proposta è il senatore leghista Manfredi Potenti, un uomo che sembra avere un rapporto complicato con la lingua italiana. L’iniziativa, fortunatamente ritirata dopo appena 24 ore di gloriosa esposizione pubblica, è stata subito etichettata come “personale” dai vertici del partito. Il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, è stato chiaro: “Non è la nostra linea.” E così, con un elegante scaricabarile, la Lega ha cercato di riparare ai danni.

Ma cosa prevedeva questa perla legislativa? Il ddl Potenti, con il tono di chi crede fermamente di difendere la “purezza” della lingua italiana, dichiarava guerra all’uso “improprio” di titoli femminili nei documenti ufficiali. “Avvocato” sarebbe rimasto “avvocato”, e non si sarebbe tollerata alcuna creatività linguistica. Un disegno di legge che, a detta dei suoi autori, voleva “preservare l’integrità della lingua italiana”. Perché, come tutti sanno, la vera minaccia per il nostro Paese non è il cambiamento climatico o la disoccupazione giovanile, ma l’uso di “ministra” e “sindaca”.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Tra un conato di ilarità ed uno di sdegno, le opposizioni hanno preso d’assalto il progetto. La capogruppo di AVS alla Camera, Luana Zanella, ha definito la proposta “espressione di una sotto cultura priva di pensiero”. Aurora Floridia ha aggiunto che si tratta di “un grave passo indietro nella lotta per la parità di genere”. E Michela Di Biase del Pd, con una nota di sarcasmo, ha suggerito ai proponenti di leggere la Treccani per capire che l’italiano non è così semplice come pensano.

La sociolinguista Vera Gheno, sulle colonne del Corriere della Sera, ha sottolineato come i femminili esistano da tempi antichi. Quindi, l’idea che “avvocata” sia una moderna sperimentazione è ridicola. E, per non farci mancare niente, ha paragonato il ddl ai peggiori regimi totalitari. Un successo, insomma!

Alla fine, il senatore Potenti è stato costretto a ritirare il disegno di legge. Forse resosi conto che il tentativo di mettere lacci alla lingua italiana era un po’ come cercare di arginare il mare con un secchio. O forse semplicemente perché, dopo la bufera mediatica, nessuno voleva più associarsi a questa proposta da barzelletta.

Resta il fatto che la “boutade estiva”, come l’ha definita il vicepresidente della Camera Sergio Costa, è servita solo a tirare un po’ di fumo negli occhi. Ma non preoccupatevi, perché anche se la battaglia contro il genere femminile nei titoli professionali è stata persa, la prossima estate arriverà sicuramente un’altra brillante idea per tenere impegnato il nostro tempo e le nostre risate.

Fino ad allora, continuiamo a chiamare le cose con il loro nome, o meglio, con il genere che preferiamo. E magari, ricordiamoci che la lingua italiana è una cosa meravigliosa, che evolve e si adatta, nonostante i tentativi di alcuni di riportarla indietro nel tempo.

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