
di MAURO SANTORO
– TERZA PARTE –
Nelle due precedenti pubblicazioni si è argomentato sul centro fortificato di Pruija di Terravecchia, frazione di Cariati dal 1808 al 1921, e più in generale sul contesto storico e archeologico dell’ampio territorio di cui fa parte l’antico oppido. Nel prosieguo dello sviluppo argomentativo di questa terza parte ci porremo degli interrogativi su chi fossero gli abitatori di Pruija, cercando sinteticamente di dare delle risposte per consentire di aprire degli spiragli di luce su un popolo che, purtroppo, non ha una propria storia scritta ma che è storicamente conosciuto prevalentemente per ciò che scrissero i loro acerrimi nemici: i greci prima ed i romani poi. Solo negli ultimi decenni, nuove ricerche archeologiche e ardite riflessioni storiografiche, hanno ridisegnato un nuovo quadro conoscitivo dei Brettii che oggi sono rivalutati e ritenuti un popolo fiero e ricco di cultura.
Brettii, Bruttii, Bruzi, Brezi nomi diversi per identificare uno stesso popolo. Infatti mentre dai greci erano denominati Brettii, i romani chiamavano Bruttii la popolazione che abitava prevalentemente la Calabria tra la fine del V sec. a.C. e la fine del I sec. d.C.
Agli inizi, così come riferiscono le fonti storiche, i Bretti erano diverse tribù insediate tra la Lucania e la Calabria. Solo nel 356 a.C. appaiono come un popolo indipendente ed organizzato che aggregava i diversi villaggi.
Perché erano chiamati con questo nome?
La maggior parte degli studiosi e le fonti antiche riferiscono che essi hanno avuto un’origine lucana. Alcuni schiavi, ribellatesi ai loro padroni, si ritirarono sulle montagne e nelle foreste. Questo gruppo fu chiamato Brettii, poiché il nome indicava lo stato di schiavo fuggitivo. Quindi questo popolo deve il suo nome ad una ribellione che li fece divenire non più schiavi ma un popolo libero. In realtà, alcuni recenti approfondimenti storici ritengono che Brettii derivi dal nome messapico della testa del cervo, bréntion. Poiché questi servi fuggitivi erano assimilati ai cervi che abitavano le foreste e spesso si vestivano con le pelli conciate di questi animali.
Altri storici ritengono, invece, che Brettii derivi dal nome della pece che queste popolazioni estraevano dai pini della foresta silana e lucana. Infatti, è verso la fine del V sec. a.C. che sono attestati degli scambi commerciali di pece tra i Bretti, abitatori delle montagne, e le popolazioni magno-greche della costa (sibariti, crotoniati, locresi) che la usavano per impermeabilizzare le loro navi.
La pece, infatti, era una resina che veniva estratta da alcune varietà di alberi di pini che ossidandosi diveniva scura. Tuttavia, un’altra versione aggiunge che erano appellati Bruttii per indicare anche l’incomprensibile lingua che parlavano, che per loro era oscura come la pece che vendevano.
Una piccola minoranza di storici ritiene, invece, che il suo eponimo derivi da una regina dal nome Bryttia.
Chi erano i Brezi?
Originariamente erano delle genti che abitavano in villaggi ed erano dediti alla pastorizia, all’agricoltura, all’allevamento dei cavalli ed allo sfruttamento – come si dice oggi – delle risorse agro-silvo- pastorali. Spesso alternavano queste attività con azioni di brigantaggio e scorrerie a danno di altre popolazioni.
Era un popolo abituato ai rigori del clima, ad affrontare le insidie di una natura selvaggia e incontaminata e le impervietà del territorio montano che abitavano.
Nel periodo della loro massima espansione politica e militare preferivano ubicare i loro villaggi fortificati sui pianori, prevalentemente prospicienti la costa, posti ad un’altitudine tra i 400 e 500 metri sul livello del mare.
La loro era principalmente una organizzazione tribale. Ogni capo tribù aveva il dominio sul suo villaggio ed era autonomo dagli altri. Solo intorno al 356 a.C. questi villaggi crebbero come identità di un unico popolo chiamato Brettii. Infatti i capi tribù siglarono un patto che fu alla base della “Confederazione brezia”.
Tutti riconobbero Cosenza la capitale del bruzio, ogni tribù era legata ad un patto di difesa e soccorso ed uniti combattevano contro il nemico comune.
I Brettii/Brezi si dimostrarono abili e capaci combattenti. Con facilità abbandonavano gli abiti del contadino o del pastore ed imbracciavano le armi con maestria e valore.
Guidati da un unico comandante, che a turno era eletto tra i capi villaggio, con ordine e disciplina difendevano le loro città e le loro ricchezze.
Come erano organizzate le loro città?
Al massimo della potenza (IV-III sec. a.C.) i Bretti/Brezi, oltre ad occupare città di origine magno-greca (Laos nelle montagne del Pollino, Thurii nei pressi di Sibari, Petelia –odierna Strongoli- nei pressi di Crotone) con una struttura urbana già definita, edificarono delle città fortificate di cui spesso non si conoscono gli antichi nomi.
Essi, su di un promontorio, spesso sfruttando le asperità naturali, erigevano possenti mura e sulla cima vi era realizzato un camminamento su cui collocavano le macchine da guerra. Spesso delle torri fungevano da postazioni d’avvistamento e dominavano l’intero territorio circostante. Nondimeno, accadeva che occupavano ed abitavano siti e luoghi già esistenti, sottomettendo e integrandosi con le popolazione di quei paesi [come chiameremmo oggi quei centri urbani].
All’interno di queste fortificazioni erano eretti gli edifici pubblici (grandi aule per le riunioni e le assemblee o quelli per il culto degli dei), le fornaci per la produzione del vasellame, le fucine per la lavorazione dei metalli ed i magazzini per le derrate alimentari. Ampi spazi liberi, invece, costituivano le aree su cui custodire le mandrie e gli armenti durante le incursioni nemiche. Le popolazioni, quotidianamente, vivevano nelle campagne circostanti in ritrovi occasionali o in abitazioni rurali; all’echeggiare dell’allarme si ritrovavano nella città fortificata pronti ad imbracciare le armi per la difesa.
Che lingua parlavano?
Il loro idioma era l’osco, lingua di origine sannitica. Ma comunemente e con facilità parlavano ed utilizzavano la lingua più diffusa dell’epoca, il greco. Introdotto nella nostra regione prevalentemente dagli achei che fondarono le mitiche città di Sibari, Crotone, Locri, Reggio ecc., intorno al VII-VI sec. a.C.
Stranamente però, ad oggi, le notizie e la storia che ci è stata tramandata su questo popolo non è stata scritta da loro. Infatti non esistono libri o documenti brezi pervenuti fino a noi che raccontano le loro gesta.
Possiamo sintetizzare perciò che quanto conosciamo sui Brezi è stato scritto in parte da storici greci e molto da scrittori romani.
Questi ultimi, però hanno tracciato un profilo di questo popolo non troppo edificante. Infatti, li descrivono come barbari, primitivi e privi di cultura. Le recenti ricerche archeologiche ed uno studio approfondito delle fonti ci ricordano che non dobbiamo dare molto credito agli storici romani. Perché questi spesso raccontavano le gesta dei loro generali che per l’Italia conquistavano e dominavano intere popolazioni che venivano annesse al grande impero di Roma.
I Brezi furono valorosi oppositori dei romani, al punto che questi, in una delle ultime e cruente battaglie, dovettero assediare la città bruzia di Petelia per molto tempo e con numerose perdite. Alla fine (II-I sec. a.C.) i valorosi Bruzi dovettero cedere le armi ed i romani li resero schiavi deportandoli e distruggendo le loro città.
Con la conquista del meridione inizia il decadimento politico e militare dei Brezi che schiavizzati furono privati di ogni proprietà e potere, la regione Brittiorum come fu chiamata passò sotto il dominio dell’impero romano.
Che legame hanno i Brezi con Terravecchia?
In realtà l’attuale centro urbano non ha nessun riferimento con la popolazione brezia.
Pruija, invece, è il luogo che le genti brettie/bruzie hanno frequentato ed abitato per molto tempo.
La traduzione greca di Pruija significa Mattino, è quanto riferisce il linguista tedesco Rholfs, perché il promontorio, ad un’altitudine di circa 450 m s.l.m., è esposto ad est.
In questo luogo agli inizi degli anni 90 è stata trovata una cinta muraria di notevoli dimensioni, oltre 500 metri lineari. Il muro perimetrale, costituiti in blocchi di pietra locale, ha una base dello spessore di 1,60 metri.
Due torri circolari, una del diametro esterno di 7,65 metri e l’altra di metri 9, innestate nel muro di cinta costituiscono le postazioni di avvistamento sull’intero territorio circostante per proteggersi dalle incursioni dei nemici che individuati in tempo si poteva approntare la difesa della città.
All’interno della cinta, sul pianoro più alto rivolto verso Terravecchia, le fondamenta molto regolari di un grande edificio (con una superficie di oltre 350 metri quadri) fanno supporre che si tratta di una struttura pubblica di culto o riunioni. Altri tre edifici sono dislocati all’interno dell’area delimitata dalle mura.
I rilievi archeologici, le diverse emergenze lapidee ed i cocci della ceramica sparsi sul terreno hanno consentito alla Soprintendenza archeologica della Calabria di datare il sito al III-IV sec. a.C. Ritenendolo una fortificazione Brezia –oppida-.
Allo stato delle ricerche archeologiche Pruija di Terravecchia con Castiglione di Paludi costituiscono le città brezie più grandi situate nella sibaritide.
Che Pruija fosse un grosso centro fortificato di dominio del territorio di confine del Fiume Nicà, l’antico Hylias, lo dimostra anche il ritrovamento della tomba a camera rinvenuta nel territorio di Cariati nella località Salto.
Un mausoleo che per tanti anni ha conservato i resti di un guerriero sepolto con la sua corazza anatomica e le sue armi. Doveva essere un comandante valoroso a capo della città di Pruija, o forse un condottiero accorso con il suo esercito in aiuto alla città assediata, se si è ritenuto opportuno di tributargli un così grande onore nel seppellimento.

Possiamo concludere che i Bretti/Brezi non era un popolo barbaro ed ignorante. Erano capaci di un grande adattamento ed un facile apprendimento; infatti, non solo parlavano il loro idioma –l’osco-, ma correttamente il greco che scelsero come lingua ufficiale per facilitare gli scambi commerciali ed i loro rapporti con le altre popolazioni.

Erano dei grandi strateghi militari, dimostrando di essere capaci di sconfiggere gli eserciti delle città magno-greche e di conquistarne le città. Seppero opporsi con valore all’esercito più potente ed organizzato della storia, quello dell’Impero romano.
Con intelligenza e furbizia, per avere maggiore penetrazione politico e sociale nel tessuto della Magna Grecia, veneravano anche le divinità dei greci che fecero imprimere sulle loro monete al fine d’imporne una facile diffusione.
Insomma, un popolo fiero ed intraprendente che merita di essere ricordato e studiato. I Bretti/Brezi, in parte, nostri progenitori ed antenati che seppero fondersi ed inserirsi in un mondo a loro ostile. Dimostrando che la forza e l’identità di un popolo si manifesta con l’unità e la condivisione dei valori, rispettando le regole della convivenza sociale e politica.
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(Tratto da: Mauro Santoro – “Terra Veterj – La comunità Jonica di Terravecchia tra memoria storica e modernità” – Cosenza 2011 – Editoriale Progetto 2000)
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