
Nonostante in Europa e nel mondo non se ne parli a sufficienza le elezioni dello scorso fine settimana in Cile rappresentano uno di quei rari snodi che fanno la storia. Sì, quella con la S maiuscola.
Da una costituzione ancora a forti tinte pinochettiste si passerà, nel giro di 9/12 mesi, ad una carta probabilmente progressista e moderna. Tra l’altro addirittura l’unica, nella storia dell’ umanità, che sarà scritta e pensata da un 50% di donne e un 50% di uomini.
Del resto il tempo era scaduto nella cosiddetta “Svizzera del Sudamerica” già nell’ ottobre 2019, quando iniziarono proteste e tumulti per un apparentemente “banale” aumento del biglietto della metropolitana. In un paese che rappresenta un’autentica contraddizione, un enigma dentro ad un altro enigma per molti economisti: numeri apparentemente eccellenti, parametri economici da sogno, per il Sudamerica, una qualità della vita che a qualsiasi turista sembra alta.
Ma sono ancora una volta la geografia e lo studio della collettività a venirci in aiuto. E allora succede che quell’ “enigma cileno” non è più così enigmatico se lo si osserva con uno sguardo panottico e dunque attento anche alle diseguaglianze.
Infatti chi, come il sottoscritto, ha vissuto a lungo sia a Santiago del Cile che a Buenos Aires, non puo’ fare a meno di paragonare le 2 capitali e provare a coglierne le differenze per comprendere quello che, dal 18 ottobre 2019, succede in Cile e una settimana fa ha portato a una piccola quanto importante svolta della storia. All’ “estadillo”, appunto, lo scoppio. Spiegandosi come sia stata possibile da un lato la pesante sconfitta della destra al governo e dall’altro una schiacciante vittoria del cosiddetto “fronte”, che noi definiremo “sinistra radicale” e che ha ottenuto ben 48 eletti su un totale di 155 nella assemblea. Oppure della elezione di numerosi candidati indipendenti e battitori liberi, sostanzialmente progressisti, ma anche dei Mapuche, 17 eletti, che peseranno nella stesura finale. Per giunta contro una destra, Chile Vamos, che si era presentata unita all’appuntamento con la storia.
Tale svolta si può’ facilmente riassumere in 3 punti chiave:
– I cileni vogliono più stato, diritti e meno mercato, anelano un forte cambiamento sociale a livello nazionale e nel contempo all’occasione optano per “l’usato sicuro” in alcune realtà locali, senza per questo voler trasformare il loro paese in una sorta di secondo Venezuela. Il tutto grazie ad una costituzione nuova di zecca che, proprio come un neonato, in 9 mesi dovrà essere pensata e proposta per un Cile dove, purtroppo, resiste una specie di copia abbellita di quella voluta dalla dittatura militare, beffardamente, l’ 11 settembre 1980.
1) – Le ragioni dello scoppio, “l’estadillo social”. Esse sono anche di natura geografica, non soltanto economica o ideologica. In fondo anche il motivo, solo in apparenza banale, che ha scatenato rivolte e tumulti nell’ottobre del 2019 ben lo chiarisce, ovvero l’aumento del biglietto della metropolitana e dei principali mezzi di trasporto. Soprattutto Santiago del Cile, a differenza di Buenos Aires per esempio, vede molti poveri vivere fuori dal distretto principale, ovvero da quello che chiameremo il centro benestante e pulito. Se a Baires in un barrio (quartiere) elegante e ricco come Retiro vi si mescolano milionari e appartamenti da sogno con la più immensa baraccopoli del paese (la villa 31), ebbene questo a Santiago non si vede, perché gli ultimi vivono fuori dall’elegante e benestante distretto. Tuttavia devono pur muoversi e infatti proprio a causa di un aumento del costo dei mezzi di trasporto si è fatta la storia.
2) – Costituzione, dai “Chicago boys” all’Europa? Credo di sì, avremo questo tra 9 mesi in Cile. Anche per una sorta di osmosi tra i partiti della concertazione, cioè quelli classici e di centro sinistra che hanno governato il Cile nei 32 anni dal ritorno alla democrazia, con una destra perdente, sì, ma che comunque esiste ancora nell’assemblea costituente che inizierà i lavori a breve. Insomma, più stato e meno mercato, più attenzione al sociale e meno liberismo, quella ideologia che, ricalcando il reganismo degli anni ’80, per oltre 40 anni ha offerto ai cileni la carta ancora in vigore. Cioè non diritti e stato sociale, ma solo scarse possibilità puramente teoriche.
3) – No, non sarà il Venezuela. Dimostrando la consueta miopia investitori di tutto il mondo e fondi, appena presa visione del risultato sorprendente delle elezioni, sono immediatamente corsi ai ripari: bloccando capitali e prendendosi una pausa. La borsa di Santiago è infatti crollata già il lunedì successivo alla consultazione. Ebbene, forse queste persone ci sapranno fare con soldi e algoritmi, ma evidentemente capiscono poco di strategia e collettività. Se solo applicassero un eventuale algoritmo a certe materie si renderebbero conto di come i cileni non vogliono certo una sorta di Maduro alla Moneda e neppure un Chavez. Desiderano soltanto più stato, una maggiore attenzione alle fasce deboli e diritti per tutti. A partire dalla donne che, questa volta, hanno raggiunto un successo epocale per tutto il movimento femminista, incredibilmente passato quasi in sordina nel resto del mondo. Tutto qui, non c’è altro. E lo si capisce proprio dal risultato delle elezioni regionali e locali, dove persino la sonora sconfitta della destra di governo, quindi del presidente Sebastian Piñera, pare in qualche modo meno netta, così come quella dei partiti tradizionali della concertazione di centro-sinistra. Da questo fatto, quella osmosi, che vedrà la stessa “concertazione” di volta in volta allearsi perfino con una destra priva del terzo di eletti utili per incidere sulla nuova carta, scaturirà il risultato di evitare inutili estremismi o derive pittoresche in un paese che non ha mai cercato niente di tutto ciò.
Insomma, il risultato epocale di pochi giorni fa disegna un orizzonte roseo soprattutto sui diritti, ci sarà invece da lottare sull’economia, relegando finalmente nella pattumiera della storia il passato e le atrocità della dittatura militare incarnata da Pinochet. Aguante Chile.
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