
■Antonio Loiacono
C’è un’Italia che si illumina all’alba, che guarda il nuovo giorno nascere dal mare. È un’Italia che non si trova sulle cartoline, né nei salotti della politica. È il nostro Sud affacciato ad Oriente, una terra che riceve per prima la luce ma per ultima l’attenzione. Qui, la vita è più dura, più lenta, più cruda. Eppure, anche più vera.
In questa Calabria antica, dove le case odorano ancora di pane e mare, non si vive: si resiste. La fatica è un fatto quotidiano. La speranza, invece, è diventata un bene raro. Qui, dove il sole sorge ogni mattina dalle acque del Mediterraneo, a volte non basta la luce a scaldare i cuori. La povertà ha attecchito come un’erba amara tra le crepe dell’asfalto e nelle famiglie stanche. E non accenna ad andarsene.
Secondo l’Ufficio Studi della CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato) di Mestre, elaborando i dati ISTAT del 2024, il 48,8% dei calabresi – quasi 900.000 persone – è a rischio povertà o esclusione sociale. È il dato più drammatico d’Italia. Quasi una persona su due vive senza garanzie, senza protezioni, spesso senza nemmeno una prospettiva.
Tra i più colpiti ci sono gli autonomi: artigiani, commercianti, professionisti, piccoli imprenditori. Uomini e donne che hanno fatto del lavoro il loro credo, e che oggi, invece, fanno i conti con fatturati in caduta libera, costi insostenibili, e uno Stato che li guarda da lontano. La dignità, per molti, non basta più a pagare le bollette.
Nei quartieri, nei borghi dell’entroterra, lungo la costa che guarda l’infinito, manca tutto: dai servizi essenziali ai diritti. Mancano medici, scuole funzionanti, trasporti. Mancano i treni. Mancano le parole di chi dovrebbe dare risposte. E, in molte case, manca anche il pane.
La sanità è un’emergenza perenne: ospedali affollati, pronto soccorso al collasso, reparti che chiudono, personale che scappa. La malattia, da queste parti, è una paura doppia: per la salute e per l’accesso alle cure.
Questo Sud affacciato ad Oriente sembra vivere in un’altra nazione. Eppure è il luogo dove sono nate alcune delle radici più profonde della nostra cultura. Qui è nato il Mediterraneo, qui la storia ha lasciato tracce ovunque: nei dialetti, nelle pietre, nella musica popolare, nei silenzi che parlano più di mille discorsi.
Ma la bellezza da sola non basta. Serve giustizia sociale, serve uno sguardo nuovo, che non sia pietoso ma rispettoso. Che non venga solo in campagna elettorale ma resti anche dopo, quando la piazza si svuota e le domande restano sospese nell’aria.
Perché non può esserci un’Italia a due velocità, un’Italia intera e un’altra frantumata. Non possiamo accettare che la normalità diventi privilegio, e la povertà si trasformi in destino. Il Mediterraneo non può essere solo confine: deve tornare a essere ponte.
C’è bisogno di una svolta. Di investimenti veri. Di politiche che partano dal basso e guardino in alto. Di infrastrutture, di sanità pubblica, di sostegno al lavoro. Di cultura. Di opportunità.
Ma, prima ancora, c’è bisogno di ascolto.
Perché questo Sud affacciato ad Oriente, che ogni mattina si alza con il sole sul volto e la fatica nel cuore, merita più di una statistica. Merita rispetto. Merita futuro.
E se c’è una rinascita possibile per questo Paese, forse comincerà proprio da qui. Da una terra stanca, ma ancora viva. Dimenticata, ma mai arresa. Ferita, ma orgogliosa.
Views: 56
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.