
■Antonio Loiacono
C’è un angolo di mondo dove il tempo si è fermato, dove la guerra ha lasciato cicatrici non solo sui muri, ma sui volti, sulle mani, sulle storie. È a Nassiriya, nel cuore di un Iraq che lotta per ricominciare, che accade qualcosa di straordinario e invisibile.
Qui, tra le corsie di un ospedale ferito, nascono sorrisi nuovi. E non sono semplici sorrisi: sono ponti tra il dolore e la speranza.
A portarli sono donne e uomini che viaggiano lontano non per fuggire, ma per restare accanto. Sono medici, chirurghi, infermieri, come Melania Roma, infermiera strumentista di origini calabresi, di Crosia precisamente, che ha scelto di indossare guanti e cuore per prendersi cura di chi, dalla vita, ha ricevuto troppo poco.
In questa terra, i bambini nascono con ferite che non si vedono solo nell’anima, ma sul volto. Malformazioni come la palatoschisi e ustioni devastanti rubano loro il respiro, la voce, il diritto a una vita normale. Eppure, sotto le mani di Emergenza Sorrisi, quelle ferite diventano cicatrici leggere, storie che non fanno più male.
Ogni bisturi che scivola è un atto d’amore. Ogni filo di sutura, una promessa di futuro.
Melania racconta di cento bambini operati in pochi giorni. Di occhi pieni di paura che, dopo l’intervento, si riempiono di luce. “La parte più bella — sussurra — è quel momento in cui il dolore scivola via e lascia spazio alla vita. È vedere un bambino che, per la prima volta, può sorridere senza vergogna”.
Tra una sala operatoria e l’altra, il tempo si ferma. Melania si mette un naso da clown e attraversa i corridoi. I bambini, anche quelli più provati, lasciano che una risata faccia capolino. E per un attimo, tutto il resto scompare.
Ma queste missioni non portano solo cure. Portano sapere, mani che insegnano ad altre mani. Parole che costruiscono ponti tra culture diverse, tra chi arriva e chi resta. L’Ospedale Habbobi di Nassiriya, grazie a queste presenze silenziose, è diventato un rifugio, un luogo di rinascita, un posto dove la chirurgia non è solo tecnica, ma tenerezza.
“Lì non hanno nulla» — dice Melania — «ma sanno donarti tutto. Ed è impossibile tornare uguali. Ti rimane addosso quella gratitudine che non ha lingua, quella gioia che attraversa gli occhi e ti entra nel cuore”.
Ogni missione è fatta di sacrificio, ma soprattutto di umanità. Di quell’umanità che non chiede nulla in cambio, che si misura in sorrisi e in lacrime asciugate in silenzio.
Perché a Nassiriya ogni sorriso ritrovato è una piccola rivoluzione e ogni mano tesa racconta che sì, esiste ancora un mondo capace di curare, di restituire, di amare.
Un sorriso alla volta!
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