Siccità: che fare?

di Michele Liguori


Se dovessimo individuare, tra i più grandi problemi che oggi interessano e che, in modo ancora più drammatico, interesseranno in futuro l’intera Umanità, risponderemmo, senza ombra di dubbio, la crisi idrica. Negli ultimi anni, per cause diverse, tra cui la principale è rappresentata dal cambiamento climatico, le risorse idriche si sono ridotte in modo veramente preoccupante. Fiumi in secca, laghi ridotti a stagni, cittadini che, non avendo più acqua in casa, sono costretti ad approvvigionarsi presso le poche fontane pubbliche da cui ancora sgorga acqua, oppure dalle auto cisterne messe a disposizione dalle Amministrazioni, sono immagini che ormai quotidianamente e diffusamente ci vengono mostrate in tutta la loro drammaticità dai mass media. Senza dimenticare poi che, oltre ad una diminuzione della risorsa idrica, stiamo assistendo anche ad un peggioramento qualitativo della stessa: sulla base della mia esperienza diretta, ho potuto verificare che in questi ultimi anni la salinità delle acque dei pozzi, che si trovano lungo la costa e che, in molti casi, rappresentano la principale fonte di approvvigionamento di acqua potabile, è significativamente aumentata.

Ora, visto che la gravità del problema è condivisa da tutti: cittadini, politici ed amministratori, negazionisti climatici e non, non è più rinviabile la messa in campo di una strategia progettuale finalizzata, non dico a risolvere in modo radicale il problema, ma quanto meno ad attutirlo, se non vogliamo che, come è già successo, in altre parti del mondo, la carenza idrica, oltre a costituire un grosso problema sociale ed economico, possa essere foriera, anche nel nostro Paese, di attriti tra comunità che si contendono la poca acqua a disposizione.

Ma allora che fare?

La complessità del problema è tale che nessuno può credere di avere la soluzione a portata di mano; certo però, qualche iniziativa, già sperimentata in diversi contesti, si può incominciare a metterla in atto. Vediamo di elencarne qualcuna:

  1. Revisione e razionalizzazione delle reti idriche comunali

Dagli studi fatti negli ultimi anni, è emerso che circa il 45% dell’acqua immessa nelle reti idriche viene sprecata a causa delle numerose perdite presenti. Inoltre in alcuni paesi le reti acquedottistiche non sono correttamente dimensionate e non adeguatamente collegate fra loro, per cui può succedere che non vi sia una equa e razionale distribuzione dell’acqua. Questo comporta che, mentre una parte del paese rimane a secco, l’altra ha acqua in eccesso.

  1. Desalinizzazione dell’acqua marina

Si basa sul fenomeno dell’osmosi inversa: l’acqua salata a contatto con una membrana speciale, viene privata del sale, rendendo l’acqua dolce. Purtroppo questo metodo comporta due inconvenienti non di poco conto: il primo è che è molto costoso dal punto di vista gestionale ed energetico: tali processi sono molto diffusi nei paesi arabi, dove gli sceicchi, grazie ai petrodollari, se lo possono permettere; il secondo è rappresentato dallo smaltimento della salamoia residua fortemente inquinata, che rappresenta un problema non di poco conto, in quanto se viene rigettata in mare provoca consistenti danni alla vita acquatica.

  1. Riciclo delle acque di fognatura.

Com’è noto ogni tipologia di acqua inquinata può essere, grazie alle tecnologie depurative, decontaminata, ed il grado di depurazione dipende da quanto spinti sono i processi depurativi, in altre parole: un’acqua di fognatura può essere resa addirittura potabile; si tenga conto che in molte parti del mondo ed anche in alcune città italiane, l’acqua immessa in acquedotto, ovviamente dopo un efficace processo depurativo, viene approvvigionata da fiumi e laghi, che presentano un livello di inquinamento, a volte superiore a quello delle acque di fognatura.

Ora, la proposta non vuole essere quella di riciclare le acque di scarico a fini potabili, in quanto, anche se possibile, sarebbe molto complesso e dispendioso, ma quella di utilizzare a fini irrigui le acque di fognatura, che abbiano subito il processo standard di depurazione. E’risaputo che l’agricoltura è il settore che consuma più acqua in assoluto, basti pensare che ogni 100 litri di acqua consumata, 40 litri vengono impiegati a scopi irrigui. Anche sulla base dell’esperienza personale, ho potuto verificare che, a volte, l’acqua prelevata da pozzi agricoli risulta essere, dal punto di vista analitico, anche migliore di quella prelevata da pozzi impiegati per approvvigionare gli acquedotti pubblici. Inoltre l’impiego in agricoltura delle acque reflue depurate avrebbe anche il vantaggio di apportare nutrienti ai terreni ed alle colture, infatti queste acque, anche se trattate, contengono comunque, concentrazioni non trascurabili di azoto, carbonio e fosforo, macro elementi fondamentali per la fertilità dei terreni, con la conseguenza utile, ai fini della sostenibilità ambientale, di ridurre l’utilizzo di concimi chimici di sintesi. Dal punto di vista quantitativo, è possibile fare una stima dei volumi di cui sarebbe possibile disporre. Prendiamo ad esempio, un comprensorio di circa 10.000 abitanti; ipotizzando un consumo idrico di circa 200 litri giornalieri per abitante ed immaginando che solo l’80% dell’acqua consumata arrivi al depuratore, avremo che ogni giorno vengono trattati circa 1.600.000 litri di acqua che, purtroppo ad oggi, finiscono in mare. Se, invece, si realizzasse un bacino di raccolta di queste acque depurate, con annessa una rete di distribuzione dedicata, che potesse raggiungere i vari fondi agricoli, potremmo utilizzare le acque di falda e/o di sorgente solo ai fini del consumo umano, ponendo quindi un significativo argine al problema della carenza idrica. So che per qualcuno questa soluzione potrebbe sembrare irrealistica e poco perseguibile, anche perché i Comuni, a causa delle risorse finanziarie molto limitate, trovano grosse difficoltà addirittura a fare quegli interventi di ordinaria manutenzione necessari per rendere più efficienti le reti acquedottistiche esistenti. Ma questo dovrebbe essere visto come un progetto strategico, che dovrebbe essere fatto proprio dalle Regioni e condiviso e finanziato dall’Unione Europea. Certo il percorso non è semplice ed immediato, anche perché occorrerà studiare il problema anche dal punto di vista delle tariffe, ma è importante che se ne incominci a parlare e discutere a livello politico ed amministrativo perché non c’è più tempo da perdere.

Michele Liguori

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