De Giulio: difendere l’indifendibile

Io l’avvocato non lo potrei mai fare. Come giustamente la legge prevede, facendolo potrei trovarmi, come il patrocinatore di Maurizio De Giulio, a difendere uno che io per primo vorrei sbattere in una cella, chiudere la serratura con tutte le mandate e poi spezzarci dentro la chiave.

Maurizio De Giulio è l’assassino (non riesco a trovare altre definizioni) che, più o meno ubriaco, guidava (con moglie e figlio a bordo) e che per una stupida questione di precedenze, nei dintorni di Torino, ha inseguito col suo furgone due giovani su una moto, Matteo Penna ed Elisa Ferrero, e li ha poi sbattuti violentemente contro il guardrail, provocando la morte di lei e ferendo gravemente lui.

L’avvocato dice che il suo assistito, poverino, è crollato quando ha appreso della morte della ragazza ed è in stato di shock e non gli importa più niente del suo lavoro e della sua vita. Quanto a lui, il suo primo impegno è di riuscire a farlo uscire dal carcere, presumo per fargli ottenere gli arresti domiciliari.

In realtà, quello che sorprende è che quel De Giulio non fosse già in carcere da prima, visti i suoi precedenti, e che ancora potesse guidare.

È giusto, anzi, doveroso, che anche il più imbecille e violento degli animali umani goda dei diritti della difesa, ed è giusto e doveroso che il giudice, durante il processo, eviti nel modo più assoluto di decidere in base a parametri diversi dalla valutazione dei fatti e delle testimonianze, e che la sua sentenza sia parametrata poi su quanto prevede il Codice penale; altrettanto giusto e doveroso è anche che vi siano altri due gradi di giudizio, e che solo alla fine la definizione di “imputato” sia sostituita con quella di “condannato”.

Ma io non sono né giudice né avvocato. Perciò, fermi restando i sacri principi, per quanto mi riguarda quel De Giulio Maurizio (è d’obbligo chiamarlo per cognome e nome, un animale umano come quello) lo vorrei vedere a vita dietro le sbarre; e del suo shock, e dei suoi rimorsi, non potrebbe fregarmene di meno: piango invece Elisa, e trepido per Matteo.

Quanto al suo avvocato, non so se sia più ripugnante o ammirevole; ma di sicuro non vorrei essere nei suoi panni.

Giuseppe Riccardo Festa

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