
No, io non seguo “Affari tuoi”, il programma dei pacchi di Rai1. Programmi come quello, e il successo che riscuotono, sono a mio avviso l’avvilente dimostrazione, il sintomo evidente, dello stato di degrado in cui la Cultura versa in Italia.
L’errore di fondo sta nella convinzione che la Cultura, quella con la “C” maiuscola, sia una faccenda noiosa da topi di biblioteca, da “intellettuali” (con tutte le connotazioni spregiative che il termine “intellettuali” implica): individui spocchiosi, noiosi, saccenti e pieni di boria come il neoministro Giuli. Gente che fa di tutto per dire con venti paroloni quello che una persona normale dice con due parole semplici. La cultura, nel sentire comune, è sinonimo di élite, di “fatti in là ché mi dai fastidio”, di “io sono io e voi non capite un cavolo”.
Della Cultura vera, quella che dà piacere e gioia, non si parla. Come al contadino non bisogna far sapere quanto è buono il formaggio con le pere (sennò si mangia tutto lui), così al cittadino, già da quando è studente, non bisogna far sapere che Cultura non è Cultura se non dà piacere.
Certo, essa richiede impegno e fatica e in un mondo che corre e che si lascia scivolare tutto addosso, in cui impera la superficialità, parole come impegno e fatica disturbano. “Per aspera ad astra” dicevano i nostri saggi antenati: alle stelle si arriva attraverso le difficoltà. Non si può godere della straordinaria bellezza della musica di Bach, di Beethoven o di Charlie Parker, se non la si ascolta con attenzione, magari studiando le biografie di quei compositori e, perché no, anche un po’ di storia della musica. Non si può apprezzare appieno il V Canto dell’Inferno, quello dell’amore di Paolo e Francesca, se non si conosce la storia di Dante, del Medioevo e dell’amore cortese, né gioire appieno ammirando Le bal du Moulin de la Galette di Renoir o Guernica di Picasso se non si conosce l’evoluzione della storia della pittura. La Cupola di San Pietro in Roma non sarà che il banale e stucchevole “Cuppolone” di Antonello Venditti, se non si conosce la storia dell’Arte e non si ha idea di quanto fosse straordinario il genio di Michelangelo. Non si sorriderà con l’umorismo di Voltaire, di Italo Calvino o di Umberto Eco e ci si fermerà alle volgarità dei sedicenti cabarettisti di “Zelig” se non si affina lo spirito impegnandosi nella lettura.
Ciò di cui parlo, attenzione, non è accumulo di erudizione ma educazione al piacere. Un’educazione che, se non la si riceve a scuola o in famiglia, bisogna trovare la forza di darsela da soli. Non per fare i saputi esibendo le proprie conoscenze e nemmeno per autocompiacimento, ma per dotarsi degli strumenti che insegnano davvero a leggere, vedere e ascoltare. Allora si diventerà esigenti, non ci si accontenterà dei prodotti di consumo spacciati per opere d’arte, in tutti i campi, e si pretenderà di godere di ciò che veramente nutre lo spirito.
È evidente che il nostro tempo non aiuta chi vuole cercare il vero piacere. In una carrellata fra le reti televisive, pubbliche e private, si trovano solo tre canali che offrono programmi di approfondimento: Rai5, Rai Storia e Rai Scuola. Tutti gli altri, con sporadiche eccezioni, non offrono che cucina, calcio parlato, dottori che svuotano foruncoli, vite private sciorinate senza vergogna davanti a tutti, grandi fratelli, grassi statunitensi incapaci di dimagrire, cinema violento o commedie sdolcinate, telefilm gialli ripetuti fino alla noia, cartoni animati di qualità ripugnante e, dulcis in fundo, giochi a premi il cui unico scopo è soddisfare l’avidità dei partecipanti, ai quali si chiede di rispondere a quiz che ne rivelano l’imbarazzante ignoranza, o nemmeno quello, come nel caso di “Affari tuoi”, il pluriennale programma preserale di Rai1.
“Affari tuoi” è l’esempio più avvilente della cattiva televisione che viene proposta al pubblico e del baratro abissale in cui il pubblico è precipitato. Quel programma non chiede nulla ai concorrenti, la cui motivazione è dichiaratamente ed esclusivamente di portarsi a casa la vincita più ingente che sia possibile. Il successo del programma è facile da capire, in un Paese come l’Italia in cui, per la gioia del fisco, impazzano le lotterie, le scommesse, i “gratta-e-vinci”, il solipsismo delle slot-machine generatrici di ludopatie. I concorrenti di “Affari tuoi” non debbono avere talenti né conoscenze: debbono solo pescare la scatola giusta e abbracciarsi felici se alla fine si portano a casa qualche cosa, orgogliosi, in più, di aver dato del “tu” al conduttore di turno, meglio se fico e al culmine della popolarità.
Che peccato. Non sanno, quei concorrenti (statisticamente, comunque, condannati a non vincere che qualche briciola, come tutti i giocatori d’azzardo) e il pubblico che li guarda, quanta vera gioia e quanto piacere potrebbero provare dotandosi di un poco di Cultura, così imparando davvero a leggere, ad ascoltare e a guardare.
E, di conseguenza, a godere.
Giuseppe Riccardo Festa
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