Secondo Benedetto Croce, fino all’età di diciotto anni tutti scrivono poesie; dopo continuano a farlo i poeti e gli imbecilli. Lo confesso: appartengo al novero degli imbecilli che, anche se i diciotto anni li hanno compiuti da un pezzo, continuano a scrivere poesie. E mica solo quelle: anche racconti e perfino, pensate un po’, un romanzo.La mia imbecillità, però, si ferma qui: rivendico di non aver superato un’ulteriore soglia: quella dei concorsi letterari.
Non sono il primo a notare che siamo gente strana, noi italiani: contraddittorii in ogni cosa. Ci scandalizziamo contro gli evasori fiscali, ma nello stesso tempo troviamo normale pagare senza ricevuta il barbiere, il dentista, l’idraulico o il falegname. Detestiamo i raccomandati, ma se serve una spintarella per nostro figlio non la rifiutiamo; disprezziamo i politici, ma se possiamo coltivarne uno che conosciamo (non si sa mai) sorvoliamo sui suoi limiti e ce lo teniamo buono.
Questa nostra schizofrenia si manifesta anche in campo culturale. Abbiamo il più meraviglioso patrimonio artistico del mondo, e ce ne vantiamo, ma lo lasciamo andare in malora e lo trascuriamo anche se potrebbe portarci un sacco di turisti. Addirittura, la Storia dell’Arte è praticamente sparita dai programmi scolastici! Abbiamo una tradizione musicale incredibile, che parte da Monteverdi ed arriva fino a Luciano Berio e Luigi Nono, passando per giganti assoluti come Cimarosa, Locatelli, Boccherini, Vivaldi, Clementi, Rossini, Verdi e Puccini - e mi limito a qualche nome – ma l’ignoranza, in campo musicale, regna sovrana. Addirittura, succede che, per mancanza di cantanti italiani, nei nostri teatri lirici dobbiamo scritturarne di stranieri (salvo poi fischiarli), perché pochissimi fra i nostri giovani hanno voglia di diventare soprani, tenori, bassi e baritoni: bisogna studiare troppo, e il successo non è garantito. Meglio scimmiottare i rapper e i pop-singer a X Factor o, peggio, a Tali e quali.
Una parentesi: a X-Factor, almeno, i concorrenti si presentano come sé stessi, e il talento che esibiscono è il loro, tanto o poco che sia; a Tali e Quali ci si fa vanto di sembrare qualcun altro, cancellando la propria individualità, e ci si fa grandi di una gloria a ricalco. Che miseria! Chiusa parentesi.
In campo letterario, ahimè, la situazione non è diversa. Siamo la nazione europea che legge di meno. Moltissimi non leggono nemmeno un libro all’anno. Poesie, poi, figurati. Chiacchierando con uno studente di liceo (di liceo!) mi è capitato di nominare Giuseppe Giusti. La reazione è stata uno sguardo fra il vacuo e l’interrogativo: Giuseppe Giusti? chi era costui?
Eppure - e qui si manifesta la schizofrenia - l’Italia è piena di poeti e di romanzieri. Sono anzi, siamo innumerevoli. A mia parziale discolpa, appartenendo anch’io a questo novero, invoco il fatto che a me leggere piace, e leggo molto più di quanto scriva. E non ho la pretesa di essere un Grande Scrittore e Poeta Incompreso. Stampo qualcosa, ogni tanto, ma quasi soltanto per il vezzo di avere il libricino nella mia biblioteca. E tento di resistere alla tentazione di ammannire le mie opere ad incolpevoli amici e parenti. Non ci riesco sempre, magari, comunque mi contengo.
Tantissimi, invece, smaniano per la voglia di essere letti, e lodati, e compresi; e fanno la fortuna della miriade di Case editrici che su questa loro smania ci campano, e pure bene: Umberto Eco, in Il Pendolo di Foucault, descrive con feroce ironia questi poeti che definisce APS, gli Autori a Proprie Spese: gente che i libri non trova i soldi per comperarli, ma per farseli stampare sì.
E i concorsi letterari! Ce n’è dappertutto, per tutti i gusti e per tutti i generi; soprattutto di poesia. Se non sono numerosi quanto i festival musicali per voci nuove, poco ci manca. L’ultimo, un concorso per romanzieri, l’ha inventato Rai3: si chiama Masterpiece, che in inglese significa Capolavoro. Già, per rendermelo antipatico, basta il fatto che abbiano chiamato questo talent-show (perché di questo si tratta) con un titolo inglese: il programma è italiano, le vittime - pardon - i partecipanti sono italiani, la giuria è italiana, o almeno italofona: dunque perché un nome inglese?
Gli sventurati che hanno risposto - parlo ancora dei concorrenti - si lasciano maltrattare dalla giuria in modo non diverso da quel che succede in un qualunque altro talent-show. In realtà, il romanzo che hanno scritto non ha nessuna importanza: a interessare il pubblico sono gli schiaffoni che, metaforicamente, i protagonisti si prendono durante la trasmissione. Che tristezza.
Per quanto mi riguarda, trovo avvilente il fatto stesso che esistano i concorsi letterari. Mi è capitato di ricevere inviti a partecipare a questo o quel concorso, ma ho sempre rifiutato. Sono abbastanza adulto, e possiedo un sufficiente senso del ridicolo, per non sognare impossibili successi nazionali o addirittura planetari. Mi basta il sorriso d’approvazione del parente o dell’amico che, senza che io glielo chiedessi, ha voluto leggere qualcosa di mio.Ogni tanto mi capita, lo giuro. Il piacere e la gioia che ne provo è enorme.
E il naufragar mè dolce in questo mare. Buon anno e buone letture a tutti!
Giuseppe Riccardo Festa
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