“DIETRO IL VELAME DE LI NOMI STRANI”

Dante Alighieri mi perdonerà se ho storpiato un verso della sua Commedia per dare il titolo a questa mia riflessione.

Una premessa, credo, è doverosa. Mio padre, legato a tradizioni ormai dimenticate, ogni volta che gli nasceva un figlio gli attribuiva tre nomi, in modo da rendere omaggio al parentado. Così io sono Giuseppe, Riccardo, Vincenzo: i primi due nomi mi furono imposti per onorare due fratelli di mia madre, il terzo per un cognato di mio padre. Il cognato mi stava antipatico ma a zio Riccardo (qualche cariatese se lo ricorderà: era maresciallo della Guardia di Finanza) volevo davvero bene. Così, nelle cose che amo più fare, in particolare quelle di carattere pubblicistico, musicale e letterario, mi pregio di firmarmi aggiungendo al primo anche il secondo nome: rendo così onore a una persona che amavo e nello stesso tempo mi distinguo dalla massa enorme dei “Giuseppe Festa” miei omonimi che, ho scoperto, affollano le anagrafi in tutta Italia.

Insomma, il nome col quale mi firmo è proprio il mio. È anzi ancora più “mio” da quando l’’ho integrato col secondo, per i motivi che ho appena raccontato. A me piace, quando dico, scrivo, racconto o faccio qualcosa, che quel qualcosa sia dichiaratamente un parto del mio cervello, e che il merito – se merito c’’è – o la responsabilità delle mie affermazioni sia chiaramente riconducibile alla mia persona. Questo, anche quando intervengo sui blog della rete. “Ci metto la faccia”, insomma, come è di moda dire da quando quest’’espressione (oramai abusata) è stata lanciata da Matteo Renzi.

Molti, ma non tutti, fanno lo stesso. Molti altri preferiscono usare uno pseudonimo che sulla Rete, come tutti sappiamo, col solito anglicismo – che peraltro significa esattamente la stessa cosa – è chiamato “nickname”.

L’’Italia, pur fra mille problemi, qualche aspetto positivo ce l’’ha; ed uno di questi è di sicuro la libertà di espressione. Ognuno, a condizione che non offenda, non diffami e non calunni, è libero di esprimere la sua opinione su chiunque e su qualunque cosa. Non siamo più nella Roma papalina, dove il dissenso si doveva esprimere con le “pasquinate”, o nel Ventennio fascista, che controllava pensieri, parole, opere e omissioni di tutti e chi sgarrava, nella migliore delle ipotesi, rischiava il confino. Siamo nella libera, democratica e aperta Repubblica Italiana che nella sua Costituzione, all’’Articolo 21, primo comma, enuncia: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Dunque, perché alcuni sentono il bisogno di usare uno pseudonimo, quando scrivono qualcosa su Facebook o sul blog di un giornale? La domanda è retorica perché lo so benissimo, il perché. Un motivo abbastanza ricorrente è che si entra in rete dal posto e durante l’’orario di lavoro; e ovviamente ci si guarda bene dal firmarsi col proprio nome.In questi casi possiamo parlare di disonestà visto che, invece di guadagnarsi lo stipendio, il baldo scrittore passa il tempo navigando fra i siti e i blog.

Ma c’’è anche un altro motivo, che non esclude il primo, e che se ad esso si sovrappone somma alla disonestà anche la viltà.

Chi scrive, che lo faccia sulla carta stampata o su pagine virtuali, sa benissimo di esporsi alle critiche. Di più: si aspetta di essere criticato, salvo che non sia così stupido da ritenersi portatore di verità assolute e incontestabili. Meglio ancora: desidera essere contestato, in modo da sviluppare un dibattito che consenta di approfondire l’’argomento e sviscerarne magari aspetti che gli erano sfuggiti; e se è dotato di onestà intellettuale è pronto anche, di fronte a contestazioni argomentate e ragionevoli, ad ammettere i propri errori.

Ma troppo spesso i contestatori che utilizzano pseudonimi non hanno alcuna intenzione di argomentare né di essere ragionevoli. Ciò che vogliono è il piacere di abbandonarsi al gusto meschino di lanciare accuse, insulti, insinuazioni e calunnie nascondendosi dietro il velo ipocrita dell’’anonimato.Ne sa qualcosa, a livello nazionale, Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati, contro la quale è stato detto di tutto e di più.

In altri casi, l’’utilizzatore di pseudonimi si accontenta di “urlare” sui blog, scrivendo tutto in maiuscole, rivolgendosi a chi contesta con un tono di sufficienza e di spocchia e lanciandogli frasette irridenti e strafottenti. Da lettore di “Cariatinet”, e frequentatore della sua pagina Facebook, mi ha colpito, a questo proposito, la presenza di un signore che usa lo pseudonimo “Ridiamo Cariati” e a più riprese è intervenuto contro Nicola Campoli.

Breve divagazione: “Ridiamo Cariati” è uno strano nome davvero. Quel “Ridiamo” è chiaramente una prima persona plurale; ma di quale verbo? “Ridare”? Ma ridare a chi? Verbi come “Ridare” e “dare” esigono un complemento di termine, o altrimenti la frase resta vuota di significato. Con l’’invito lasciato così, senza precisazioni, lo si può interpretare a piacere. “Ridiamo Cariati alla natura”, per esempio, ossia “demoliamola”; oppure “Ridiamo Cariati al mare”; o ancora “Ridiamo Cariati a chi se la piglia per primo”.

Voglio sperare che invece quel “Ridiamo” non sia una declinazione del verbo “ridere”. Se non altro perché, senza una preposizione fra il verbo e il sostantivo, la cosa sarebbe alquanto sgrammaticata. “Ridere”, lo sanno anche i bambini, è un verbo intransitivo. Dunque cosa vorrebbe dire, in questo caso, lo pseudonimo? “Ridiamo di Cariati”? Cioè: non paghi di vederla soffrire per i guai atavici di cui soffre, dobbiamo pure riderne? Mi sembra ingeneroso. Spero, lo ripeto, che non voglia dire questo. Ma sono, queste, divagazioni lessicali e grammaticali che lasciano il tempo che trovano.

Il vero punto della questione è piuttosto: se il misterioso urlatore della Rete che si firma in quel modo ritiene di avere ragione, nel formulare i suoi interventi, perché non lo fa a viso aperto, presentandosi con nome e cognome – come fanno tutti gli altri partecipanti alla pagina di Cariatinet – e magari invitando a un pubblico dibattito il giornalista che tanto gli piace irridere? Ad ogni modo, poiché almeno per il momento usare questi nomignoli è lecito, non possiamo certo impedire al signor “Ridiamo Cariati” – né ci sogniamo di farlo – di formulare i suoi interventi: la democrazia, noi, la rispettiamo a 360 gradi.

Certo, non sarebbe male se anche lui facesse altrettanto. Una cosa, però, ci sentiamo di chiedergliela: Si nasconda pure dietro il suo improbabile pseudonimo, scriva pure le sue frecciatine, si diverta pure a insinuare che chi non legge quel che legge lui è male informato. Ma per favore, non usi il CAPS LOCK (il “tutto maiuscole”) quando interviene sulla pagina Facebook di “Cariatinet”.

Una cosa è sicura: ci farà una miglior figura.

Giuseppe Riccardo Festa

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