Un gran bisogno di saggezza, pacatezza e ragionevolezza

Sergio Mattarella non è un comunicatore. E’ un uomo chiuso e rigido, impacciato davanti alle telecamere, perfino goffo. Ma sono fortemente convinto della sua onestà e sincerità, e ritengo che la sua azione sui leader politici – più bravi di lui a comunicare, ma con idee molto meno chiare e molto meno pacati di lui – sortirà effetti positivi sulla vita politica complicata e spesso incomprensibile del nostro Paese. Ho apprezzato moltissimo il suo discorso.

Questo è il commento che ho postato ieri sera su Facebook alla fine del tradizionale discorso di fine d’anno, il secondo di Mattarella, che il Presidente della Repubblica rivolge al Paese; e ho pensato di condividere questa mia riflessione con i miei amatissimi ventiquattro lettori su Cariatinet, aggiungendo con l’occasione qualche riflessione.

La prima riflessione è che il richiamo di Mattarella al buon senso, quando ha spiegato perché non ha voluto sciogliere le Camere, è inappuntabile: andare alle elezioni con due leggi diverse per i deputati e i senatori significherebbe impedire scientemente la formazione di ogni possibile maggioranza, e dunque condannare il Paese a un caos ben peggiore di quello attuale. Si armonizzino le regole, ha detto, e poi si potrà tornare alle urne: un perfetto ragionamento da arbitro super partes, oltre che di inappuntabile razionalità.

La seconda, più amara, è che l’invito del Presidente a mettere da parte l’odio, nella lotta politica, è inevitabilmente caduto nel vuoto. Dico inevitabilmente perché purtroppo è verissimo il vecchio proverbio: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Chi vuole avere nemici e non avversari non dà retta a inviti come questo. Anzi, critica senza nemmeno ascoltare, come dimostrano commenti di questo tenore: sono stufo dei soliti discorsi ipocriti, perciò non ascolterò Mattarella. Per non parlare del solito Salvini che, lanciando la sua sfida al Presidente, al pacato invito a evitare di considerare terroristi tutti gli immigrati ha saputo rispondere solo con un grottesco: si vede che lui non va a fare la spesa da solo al supermercato. Altri, ancora più beceri, contestando la sua decisione di dar vita al governo Gentiloni, hanno sfogato il loro livore con insulti che andavano da quanto ci costa questo parassita a servo di Renzi, a presidente illegittimo e altre consimili piacevolezze.

Dulcis in fundo, l’ultima riflessione che voglio proporre ai miei ventiquattro lettori è che i più feroci, grevi e non di rado volgari insulti a Mattarella sono venuti proprio da coloro che, ribadendo il loro NO al referendum dello scorso 4 dicembre, si dicevano e si dicono strenui difensori della Costituzione. Di una Costituzione che evidentemente, però, non hanno letto, dato che il Presidente si è mosso, durante la crisi di governo, in modo inappuntabilmente rispettoso della Carta; o, se l’hanno letta, la considerano non una Carta costituzionale ma una carta di ristorante: un menu dal quale scegliere solo le portate che gradiscono, rifiutando quelle che a loro costano troppo o dal sapore troppo sgradevole.

Siamo un popolo riottoso, cinico e indisciplinato e insofferente, se dobbiamo seguirle noi, di regole che pretendiamo, invece, di veder rispettare dagli altri: caratteristiche che trasmettiamo pari pari ai politici, quasi tutti, che ci rappresentano nelle istituzioni. Fortunatamente, però, sul colle più alto di Roma, nei momenti più complicati, ci abitano italiani atipici: magari poco simpatici, timidi e impacciati ma forniti di saggezza, pacatezza, profonda cultura e ragionevolezza, le doti che veramente contano quando si hanno responsabilità così gravi e determinanti.

Dunque grazie, Presidente Mattarella. Possa l’Italia prendere esempio da lei e, in questo 2017 che si annuncia denso di incognite e di orizzonti gonfi di nuvole minacciose, imparare a badare di più alla sostanza delle cose e meno alle apparenze.

Un auspicio che, ne sono convinto, condividono anche i miei ventiquattro lettori; ai quali ovviamente, come a me stesso, auguro di tutto cuore un 2017 sereno, prospero e felice.

E anche, meno ovviamente, saggio, pacato e ragionevole.

Giuseppe Riccardo Festa

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