Quei cuori piccoli piccoli a solidarietà limitata

E i terremotati? Oppure: E i disoccupati? O, più genericamente: E gli italiani?  Chi, come me, ha manifestato solidarietà ai migranti che fuggono da fame e miseria, nel migliore dei casi e, nel peggiore, da guerra, stupri e violenze, e il 7 luglio ha indossato qualcosa di rosso, si è sentito porre, da chi quella solidarietà non la prova, domande come queste: quasi che dimostrarsi umani verso certi disperati implichi per definizione indifferenza nei confronti di altri.

Evidentemente è così per loro, per quelli che queste domande le fanno: nel loro cuore c’è posto solo per una certa quantità di compassione, per cui non sono in grado di impietosirsi oltre un certo limite: una volta che nel cuore ci sono entrati i terremotati, o i disoccupati, o gli italiani, non c’è più posto per nessuno. Un partito politico, di questa ristrettezza cardiaca, ne ha fatto uno slogan elettorale, e pure vincente: Prima gli italiani. E bontà sua ha fatto pure uno sforzo, allargandosi un po’ il miocardio (o più probabilmente facendo un calcolo elettorale), perché in origine lo slogan aveva una priorità più delimitata e diceva Prima il Nord.

Mi dispiace davvero per questi malati di cuore: vorrei che quel muscolo meraviglioso, così sensibile ai moti dell’animo, ce l’avessero più grande, e fossero capaci di accoglierci dentro non solo chi vive nei limiti angusti del loro orticello, ma tutto il mondo. Vorrei che fossero capaci anche loro di vedere e, nei limiti del possibile, di alleviare la sofferenza e il bisogno, ovunque e in chiunque: come fanno Emergency, Médecins sans Frontières, la Croce Rossa Internazionale, Action Aid, l’UNICEF, la FAO. Se tutti avessero il cuore asfittico come quei contestatori, queste benemerite associazioni ed enti di alcuni dei quali  sono sostenitore (lo dico per dovere di cronaca, prima che qualcuno ribatta “e tu che fai?” o “aiutiamoli a casa loro”: è appunto quello che faccio), semplicemente non esisterebbero.

Per giunta, ho il timore che la malattia sia ben più grave e che questa solidarietà così circoscritta, che comunque smentisce sé stessa proprio per il fatto di essere circoscritta, sia in realtà un placebo: che in realtà essa sia usata, ma non sentita, e serva solo come alibi per evitare di provare qualunque e qualsiasi forma di solidarietà.

Ma spero davvero, sinceramente e con tutto il cuore, che il timore sia ingiustificato; e che il cuore di quei malati possa guarire e guarisca presto; e diventi grande, grande, grande.

Giuseppe Riccardo Festa

 

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