Oggi 1° maggio 2019 ricorre il CINQUECENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA PROCLAMAZIONE A SANTO DI S. FRANCESCO DI PAOLA

SAN FRANCESCO DI PAOLA, DA CINQUE SECOLI NEL CUORE DELLA GENTE.

IL PRIMO MAGGIO 1519 PAPA LEONE X LO PROCLAMAVA SANTO. E’ PATRONO DELLA CALABRIA E DELLA GENTE DI MARE.

Fu il vescovo di Cariati Giovanni Sersale, su incarico di papa Giulio II,a presiedere uno dei tre processi informativi per la sua canonizzazione, il “processo cosentino”, svoltosi dal 1512 al 1513, i cui Atti sono stati ritrovati a Roma 60 anni fa (1959). 

di Franco Liguori

Alla morte  di S. Francesco di Paola, avvenuta in Francia, a Plessis-les-Tours, il giorno del venerdi santo 2 aprile 1507,molteplici furono le iniziative per la sua canonizzazione, sia in Francia che in Calabria. Vera e propria paladina di questa causa fu Anna di Bretagna (Anna Bolena), figlia del defunto sovrano Luigi XI e reggente di Francia. Secondo talune fonti, l’unica figlia di Anna, Claudia, era gravemente ammalata e la regina reggente si rivolse in preghiera a S. Francesco, facendo voto che, se avesse ridato salute alla ragazza, avrebbe promosso la sua canonizzazione. Così avvenne e Anna di Bretagna si rivolse al papa Giulio II, supplicandolo di avviare il processo informativo intorno alla vita e alle opere dell’Eremita paolano per attestarne infine la santità. La reggente di Francia incaricò il cardinale Roberto Guibè, vescovo di Nantes, all’epoca dimorante a Roma, di seguire gli sviluppi della richiesta. Contemporaneamente all’iniziativa della sovrana francese, dalla Calabria partirono analoghe pressioni e suppliche al Pontefice. Il procuratore generale dei Minimi, Francesco Binet, a nome dell’Ordine fondato da Francesco di Paola, presentava al Pontefice ufficiali suppliche in cui si chiedeva di voler fare iniziare il processo informativo prima che cessassero di vivere gli altri testimoni che avevano conosciuto in Calabria il Santo da vicino e che lo avevano visto operare miracoli. Esisteva, infatti, questo reale pericolo per i testimoni calabresi. Se a Tours, in Francia, poteva essere facile raccogliere informazioni ancora per molti anni, poiché lì Francesco aveva dimorato gli ultimi anni della sua vita, quasi 25, in Calabria, invece, da cui era assente fin dal 1483, i testimoni oculari erano già iniziati a scomparire, portando via, con la morte, preziose testimonianze. Vi era il pericolo, quindi, di vedere andare disperso un ricco patrimonio di informazioni sulla vita, le virtù e i miracoli operati da Francesco nel periodo calabrese della sua vicenda terrena.

Solo il 13 maggio del 1512, papa Giulio II decise l’apertura del processo informativo, emanando un “Breve” (Dilectus filius), col quale ordinava ai commissari designati di “iniziare con prontezza, con fedeltà e con prudenza le opportune inquisizioni intorno alla vita, alle virtù, ai miracoli del Fondatore dei Minimi”. Per la Francia i commissari furono l’arcivescovo di  Parigi (mons. Stefano Poncher), il vescovo di Grenoble (mons. Lorenzo Allemand), il vescovo di Auxerre (mons.Giovanni Baillet). Per l’Italia, in data 8 giugno 1512, il breve papale era stato affidato a due delegati designati: mons. Giovanni Sersale, vescovo di Cariati, e Bernardino Cavalcanti, canonico cantore della Chiesa metropolitana di Cosenza. Il Breve di Giulio II era articolato in tre sezioni, per le diocesi di Cosenza, Reggio Calabria e Tours. Si ebbero, pertanto, tre diversi processi: I) il processo cosentino; 2) il processo reggino; 3) il processo turonense. Del lavoro svolto dai tre diversi Tribunali, si dispone attualmente soltanto delle deposizioni delle Diocesi di Cosenza e di Tours, cioè degli atti del Processo cosentino e di quello turonense.

Il “processo cosentino”, presieduto da mons. Giovanni Sersale, che fu vescovo di Cariati dal 1506 al 1516 .

Stemma Famiglia Sersale

Il Breve di Giulio II riguardante l’Italia fu consegnato al Vescovo di Cariati, mons. Giovanni Sersale, da Giuliano di Regina, frate dell’Ordine dei Minimi, e venne aperto l’8 giugno 1512 in presenza del canonico Niccolò Sprovieri, arcidiacono della Cattedrale di Cariati e notaio apostolico, nonché dei testimoni Pietro e Vincenzo de Regno, e del nobile Luca Giovanni di Sorrento. Dopo averlo trascritto, il 15 giugno 1512 il vescovo di Cariati diede ordine che il Breve venisse appeso nella Cattedrale di Cosenza affinchè coloro che avessero notizie sulla vita e virtù di Francesco di Paola potessero comparire davanti alla Curia ed esporre in verità le loro testimonianze sulle dieci domande che sarebbero loro state poste. Le sedute del processo cosentino furono dodici: sei in Cosenza (in luglio 1512); tre in S.Lucido (luglio-agosto 1512); una in Corigliano (gennaio 1513), tutte presiedute dal vescovo di Cariati, mons. Giovanni Sersale, affiancato da Don Niccolò Sprovieri, arcidiacono della Cattedrale di Cariati, con funzione di notaio apostolico. L’intero processo cosentino si svolse dal 4 luglio 1512 al 19 gennaio 1513. I testi ascoltati furono 102, appartenenti alle diverse classi sociali, nobili e popolari senza distinzione e particolari riguardi; s’incontrano, perciò, “dominae”,” sorores”, baroni, pecorari, muratori, donne.

Ma chi era Giovanni Sersale? Quali furono le ragioni che indussero papa Giulio II ad incaricare proprio lui di avviare in Calabria il processo informativo sulla vita e l’opera del futuro santo paolano? La risposta va cercata  nel fatto che il Sersale, uomo di chiesa cosentino, prima di ricoprire la cattedra vescovile di Cariati, era stato una personalità di rilievo della Chiesa della città bruzia, e doveva avere, pertanto, buona conoscenza della santa vita dell’eremita paolano, la cui città di provenienza, Paola, era nella giurisdizione ecclesiastica dell’Arcidiocesi di Cosenza. Quando Francesco morì, in Francia, il 2 aprile 1507, mons. Giovanni Sersale di Cosenza, ricopriva da qualche mese, la cattedra episcopale di Cariati, elevata a sede vescovile fin dal 1437.Il vescovo Sersale era anche un apprezzato teologo e proveniva da una famiglia aristocratica di Cosenza, originaria di Sorrento e trapiantata nel Regno di Napoli nel periodo angioino.L’episcopato di Giovanni Sersale a Cariati, iniziato il 12 agosto 1506, coincide con un periodo molto importante per la storia della cittadina ionica, il cui destino viene ad intrecciarsi, proprio adesso, con quello della patria di San Francesco, la cittadina tirrenica di Paola. Il 20 febbraio 1505,infatti, Re Ferdinando il Cattolico concedeva la Contea di Cariati a Giovan Battista Spinelli, già  barone di Fuscaldo, Paola e Guardia. Due importanti feudi calabresi, la Contea di Cariati e la Baronia di Paola, venivano ad essere governati dallo stesso signore: il conte di Cariati Giovan Battista Spinelli. Cariati e Paola erano così accomunati nel nome degli Spinelli, “signori” di entrambe le città, e di S. Francesco, nativo di Paola, ma legato anche a Cariati, per essere stato il suo processo di canonizzazione avviato, proprio in quegli anni, da un suo vescovo, il nobile cosentino Giovanni Sersale, coadiuvato come notaio da mons. Nicolò Sprovieri, anche lui cosentino, all’epoca canonico della Cattedrale di Cariati.

Il processo cosentino presieduto dal vescovo  Giovanni Sersale, riveste una grande importanza perchè rappresenta la documentazione più antica di come si svolgeva il processo informativo sulla vita e santità di una persona. Le deposizioni dei 102 testi, fatte sotto giuramento anche solenne, sono l’espressione più viva della realtà di un uomo che iniziò la rinascita della Calabria con l’attuazione di un piano di giustizia sociale radicato sul diritto naturale e sui princìpi morali e sociali del cristianesimo in un popolo, quello calabrese, che viveva senza speranze di tempi migliori.

Le deposizioni rese dai testi del “processo cosentino” ci mostrano – come rileva lo studioso Pietro Addante- non solo la grande forza spirituale e morale del santo paolano, ma anche la storia drammatica e tragica di una società, quella calabrese, costretta a vivere, in pieno XVI secolo, nello splendore del Rinascimento italiano, ai margini della vita. C’è, secondo Addante, nelle pagine del processo cosentino, tutta l’anima calabrese, col suo pianto fatto di costrizione e di silenzio, l’umiliazione di un popolo derelitto, solo e misero, l’anelito ardente, ma soffocato di libertà. Il popolo che emerge dalle deposizioni del processo cosentino è un popolo che finalmente sente di non essere più solo, che sente di essere difeso con sincero coraggio nei propri diritti da un uomo come Francesco di Paola, che non mostra alcun interesse egoistico e politico. Questo popolo è preso da un fremito di speranza cristiana e si stringe attorno a quella tunica sdrucita di frate Francesco, a quella sua mano miracolosa e benedicente che porta conforto, pace e coraggio per continuare a vivere.

Una seduta del processo cosentino si tenne a Corigliano, dove S. Francesco arrivò nel 1476, e si fermò per qualche anno, fondandovi  uno dei suoi conventi. A Corigliano il santo paolano operò anche dei miracoli, come quello riferito nella deposizione del 19 gennaio 1513 da Nicola Castagnaro.  Ecco la sua testimonianza: “Arrivato fra’ Francesco a Corigliano per edificare un convento, era necessario apprestare una fornace, per cuocervi la calce, e andò in un luogo in cui non v’erano pietre a tale scopo. Fra’ Francesco disse allora agli operai che aveva con sé:” Scavate qui, perché il Signore provvederà”. E dando con la vanga, trovarono una cava di pietre adatte per la fornace e ne fecero nella quantità necessaria e costruirono il convento”.

Le due versioni , italo-calabra e latina, del Processo cosentino

Di grande interesse anche sul piano linguistico-culturale risulta essere il processo cosentino, perché mons. Nicolò Sprovieri, arcidiacono del Capitolo Cattedrale di Cariati, con funzione di “notaio” del processo stesso, trascrisse le testimonianze rese dai testi, a volte di ceto sociale nobile e colto, il più delle volte di ceto popolare e privo di istruzione, in un linguaggio che potremmo definire italo-calabro, e che rappresenta una preziosa testimonianza del più antico volgare calabrese o “calabro idiomate”, come è chiamato negli atti del processo. Un umile pecoraio di Paola, tale Bartoluccio, testimonia, ad esempio,”come dicto frate Francisco sempre campao santamente et honestamente et che sempre andava scalso de inverno e de estate, edificava monasteri sumptuosi et facia miraculi che quasi omne dì ince concorreva gente infinita et tutti retornavano contenti et laudandose  de li miraculi che le vedìano fare”. Si coglie in questo linguaggio semplice ed ingenuo un’aura di semplicità bucolica che conquista e commuove.

L’uso del “calabro idiomate” deriva dal fatto che il popolo calabrese dell’epoca si esprimeva comunemente nelle forme dialettali e comprendeva poco o nulla la lingua di Cicerone; il testo italo-calabro, però, per rispondere alle esigenze dei Tribunali curiali romani, venne tradotto in latino, dal chierico Sigismondo Pindaro, veneto di origine, e segretario del cardinale Lorenzo Pucci, Protettore dell’Ordine dei Minimi. Si hanno, pertanto, due versioni del processo cosentino: una in italo-calabro ed una in latino. Gli Atti del “processo cosentino”, nelle due versioni, italo-calabra e latina, furono custoditi nell’Archivio della Curia Generalizia, con sede nella chiesa di S.Francesco di Paola a Trinità dei Monti, a Roma, ma dopo qualche tempo, se ne persero le tracce. I manoscritti sono ritornati alla luce, dopo circa trecento anni, nel corso di un riordinamento dell’ Archivio sopracitato, curato dal Correttore Generale dell’Ordine dei Minimi, Padre Francesco M. Savarese, al quale va il merito della preziosa scoperta, avvenuta  nel 1959. Il manoscritto latino, rilegato in pergamena, ha applicato sulla facciata del primo piatto un cartiglio del 1600, riparato e plastificato, recante il titolo e la segnatura d’archivio: PROCESSUS FACTUS IN CALABRIA PER EPISCOPUM CARIATENSEM SUPER VITA ET MIRACULIS SANCTI PATRIS FRANCISCI DE PAULA.

La canonizzazione (1519)

Si deve al papa Leone X la glorificazione e il trionfo di Francesco di Paola, con la sua canonizzazione in Roma nella basilica di S. Pietro, il 1° maggio 1519, dopo pochi anni dalla sua morte e sei dalla sua beatificazione. “Il processo fu rapidissimo per motivi molto precisi” scrive il biografo Pietro Addante, che si richiama alla testimonianza contenuta nel Diario di Paride De Grassi,prefetto delle cerimonie pontificie, secondo il quale la rapidità della canonizzazione si deve al continuo e vivo interesse dei sovrani francesi, i quali, oltre a patrocinare il grande evento, contribuirono a pagare le spese per i processi canonici e per la solenne canonizzazione. Che Leone X si fosse mostrato sensibile verso le istanze dei sovrani francesi è egli stesso a confermarlo nella bolla di canonizzazione, dicendo di aver accolto “i voti del re di Francia, della regina Claudia, del Generale dell’Ordine”. D’altra parte è stato rilevato da altri storici che la canonizzazione di San Francesco di Paola, tanto patrocinata dalla Francia, avvenne in un periodo storico in cui i rapporti politici fra Roma e la corte francese erano particolarmente intensi e amichevoli.

Il 1° maggio 1519 era presente nell’antica basilica costantiniana di San Pietro, splendidamente addobbata, una grande folla. Leone X fece un elegante discorso che durò quasi un’ora, sulla vita e sui numerosi miracoli compiuti dal Santo calabrese, e a stento, mentre parlava, riusciva a trattenere le lacrime.

Con la bolla “Excelsus Dominus” del 1 maggio 1519 Francesco di Paola veniva ascritto definitivamente all’albo dei Santi. Le parole della bolla di Leone X che decretò la santità dell’eremita calabrese sono le seguenti: “A onore di Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, ad esaltazione della fede cattolica e ad accrescimento della religione cristiana, a consolazione e prosperità dell’Ordine dei Minimi: per l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, per quella dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e per la Nostra; con l’assistenza e il consenso dei nostri fratelli, Noi decretiamo e dichiariamo che Francesco da Paola di buona memoria, Fondatore dell’Ordine dei Minimi, già accolto tra i cori dei beati nella gloria della celeste Gerusalemme, deve essere iscritto nel catalogo dei santi confessori, e Noi al presente ve lo iscriviamo, e dichiariamo e ordiniamo che egli in privato e in pubblico sia onorato come un santo. Stabiliamo che la sua festa sia celebrata ogni anno dalla Chiesa universale il giorno 2 aprile; che tutti i fedeli possano implorare i suoi suffragi, e a lui debbono rendere tutti gli onori dovuti agli altri confessori, iscritti nel catalogo dei santi”.

“Da quel 1° maggio 1519, Francesco, figlio della terra di Calabria e di due contadini paolani, Giacomo e Vienna, l’eremita calabrese, il profeta di Dio in terra italiana e francese, l’uomo della pace, il fondatore della triplice famiglia dei Minimi, diventava figlio del mondo e di tutta la Chiesa, fratello di tutti i fratelli che camminano sulla terra nella speranza o nella disperazione” (Pietro Addante,1988).

San Francesco di Paola rimane una delle figure più rappresentative e più popolari della storia della Chiesa dei tempi moderni, una figura di santo, il cui messaggio, a distanza di cinque secoli, risulta ancora oggi attuale. Umile e penitente, con l’esempio della sua vita e con la predicazione dell’umiltà e della povertà costituì una risposta anticipata alla ribellione di Lutero. Uomo di fede e di intensa vita interiore, fu amato dal popolo e riverito dai potenti, malgrado la libertà, con cui riprendeva i loro vizi e stigmatizzava le loro prepotenze.

La sua figura ha una grande importanza anche sul piano più strettamente storico. La sua epoca, il XV secolo, fu per il popolo calabrese, soggetto in quel tempo alla oppressiva dominazione aragonese, un periodo di patimenti e di sofferenze, anche per l’alto numero di privilegiati che vi erano nella società meridionale e per l’esosità del fisco. Contro tale situazione il santo paolano levò forte la sua voce di condanna e non esitò a rimproverare i signori e i principi per i soprusi da loro perpetrati ai danni della povera gente. Francesco di Paola arrivò persino a presentarsi davanti a Ferrante d’Aragona, nel 1483, per esortarlo a lenire le sofferenze dei suoi sudditi e a condurre un’azione energica contro i pirati turchi, che, a quel tempo, assaltavano, con le loro scorrerie, i paesi rivieraschi, seminando distruzione e morte.

Per saperne di più :

      1. Caridi- Francesco di Paola.Un santo europeo degli umili e dei potenti. Roma, 2016
      2. De Rosa- San Francesco di Paola, mistico riformatore del suo tempo. Milano, 2013

     

    1. Addante- San Francesco di Paola,Torino, 1996

Franco Liguori

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