Quello che fa male è dover constatare quanta gente, per sentirsi bene (o credere di sentirsi bene) abbia bisogno di far stare male altra gente, della sua sofferenza o perfino della sua morte.
Nemmeno la morte, infatti, riesce a fermare la voglia di livore di costoro: messaggi irridenti, al contrario, inneggiano all’annegamento dei migranti e perfino delle donne pubblicano sui social network messaggi come quello che riproduco qui accanto.
Perché? Di fronte ad una simile degenerazione, a questo sbracamento, a questa deriva ormai senza controllo di masse che sembrano animate solo da un’irrefrenabile voglia di ferocia, non si può non chiederselo: perché?
Questi messaggi li scrivono persone normali: padri e madri di famiglia, impiegati e insegnanti; sì, perfino insegnanti e, santo cielo, donne: come quella professoressa di storia dell’arte tutta felice perché il carabiniere ucciso a Roma era “uno di meno”, e poi non aveva, a suo dire, un’espressione intelligente, o l’altra, insegnante di diritto (!) che, riferendosi al suo assassino, ha augurato «un colpo in testa al reo».
Cosa ci sta succedendo? Quale perversa sindrome sta avvelenando la mente di così tanta gente, facendone orde di iene e di maramaldi pronte a ridere di chi soffre e poi a gettarglisi addosso per sbranarlo?
Per quanto sia vero che ci sono personaggi pubblici, primi fra tutti Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che cavalcano quest’onda, la colpa di questa deriva va ascritta a loro solo in minima parte. Questa regressione ha radici molto più profonde, che allignano nel substrato dell’insicurezza, delle paure, e soprattutto dell’ignoranza e dei pregiudizi di cui si nutre, da sempre, la stragrande maggioranza della gente: la plebe che un tempo si accalcava sotto le forche, quella che oggi rallenta in autostrada per guardare morbosamente i feriti e i morti di un incidente. E poco importa che fra quella gente ci siano fior di laureati, professionisti e professori.
La “casalinga di Voghera” e suo marito non si accontentano più di spettegolare sottovoce contro la vicina che ha l’amante o contro il figlio raccomandato del capufficio. Ora, da bravi italiani medi, per sfogare le loro frustrazioni hanno bisogno di qualcosa di più ed hanno lo strumento per farlo. Hanno scoperto quanto odiare, insultare e aggredire pubblicamente, ad alta voce, dai social network, magari con il CAPS LOCK della tastiera inserito, sia più utile a scaricare la rabbia che covano; e ci danno dentro, oh come ci danno dentro!
Ma, ancora, perché? Cosa cambia nella loro vita, in cosa migliora, di quanto aumenta la loro pensione o cala la loro rata del mutuo, se una nave piena di disperati viene costretta a restare al largo, sotto la canicola o in mezzo a una tempesta? Davvero questi italiani medi, che riempiono di gattini e fiorellini le loro pagine facebook e vanno devoti a messa la domenica, si sentono poi migliori, insultando e malmenando sull’autobus o in treno un altro passeggero, colpevole di non avere la pelle bianca?
Fermiamoci, per piacere. Diamoci una calmata. Non è nella disgrazia altrui che troveremo soddisfazione alle nostre frustrazioni e alle nostre paure. Cerchiamo di uscire dal branco, di essere umani, di essere, e non solo di sentirci superiori .
E se superiori ci sentiamo, dimostriamo di esserlo. Cerchiamo, per favore, di non essere dei meschini, squallidi e livorosi italiani medi.
Giuseppe Riccardo Festa.
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