Non whites only

Ci sono state occasioni nelle quali l’aggressione fisica non è stata così grave quanto l’oppressione psicologica sofferta dalla popolazione nera durante l’apartheid. E’ una tortura psicologica impossibile da descrivere a parole.

Nelson Mandela

Guardate questa faccia e questo sorriso. Non sono bellissimi? Sono la faccia e il sorriso di Abi Zar, giovane modenese. Abi in questa foto, festeggia il suo traguardo più grande: una laurea in Giurisprudenza; ha il sorriso e gli occhi sollevati, tipici di chi arriva a piantare la sua bandierina in cima alla montagna e guarda il panorama dall’alto.

Abi è stato il protagonista di una vicenda raccapricciante e che è assolutamente necessario raccontare, per prendere coscienza che – seppur la società abbia fatto progressi in ogni campo possibile – c’è di fondo una tristissima tendenza ovvero quella di ripeterci nelle cose più squallide; non impariamo, noi Italiani, dalla nostra storia ma, anzi, continuiamo a ricalcare le righe di una delle pagine più brutte che siano mai state scritte. Questo ragazzo denuncia la sua storia e lo fa a testa alta, prima sulla sua pagina Facebook e poi alle competenti autorità.

Tutto inizia nella notte fra il 13 e il 14 gennaio 2017; “sono tornato in Italia per una breve vacanza con l’intento di stare con la famiglia e gli amici, così in una serata come le altre ho deciso di andare a ballare in compagnia. Eravamo 4 maschi e una femmina” – scrive Abi – “il locale in questione contava due ingressi: uno vuoto dove nessuno era in fila e l’altro invece usato dai clienti”. Una sera come tante, insomma. “Logicamente il nostro gruppo si avvicina all’ingresso utilizzato da tutti […] ma il buttafuori si avvicina a noi e mettendosi davanti, mi mette la mano sul petto e mi ferma:devi usare l’altra entrata”.

Abi non ha paura di raccontare ogni minimo dettaglio, cita persino il nome del locale e degli organizzatori – cosa che qui non farò – proprio a dimostrazione del fatto che ciò che racconta è vero, è una tristissima e macabra realtà del nostro tempo. “Io mi sono girato verso la mia amica, convinto che stesse dicendo a lei e che fosse una di quelle serate dove le donne avevano l’ingresso separato per entrare prima degli uomini. Ma dici a lei? Chiesi, indicando la mia amica. No, tu devi entrare usando quell’entrata lì, mi rispose lui, indicandomi il secondo ingresso deserto. Ma perché? Perché? Che vuol dire? Io sono con i miei amici! Mi dispiace, E’ LA REGOLA, ribatte il buttafuori.”

Potrei concludere anche qui, così, il mio articolo; ho reso il concetto di ciò che vorrei dire anche perché, per la prima volta, mi mancano le parole giuste. Ma voglio continuare, lasciandovi alle parole di Abi: “Nota degna di rilevanza, a questo punto, è che io sono un uomo di colore nero: però, davvero, è questo che sta succedendo? Mi stavano davvero dicendo di usare un entrata diversa riservato ai neri? Dopo i miei continui perché, si avvicina il ragazzo che mette i braccialetti all’entrata e gli dice: dai, PER QUESTA VOLTA, fallo passare.”

Quando ho letto la storia di Abi, è stata una di quelle volte in cui avrei voluto rinnegare il mio essere italiana, per la vergogna e l’immensa mortificazione che provavo leggendo le sue parole. Ero consapevole del fatto che siamo molto meno globalizzati mentalmente di quel che vogliamo far credere, che il razzismo c’è eccome, che i colori hanno purtroppo tanta importanza nella nostra povera Italia, che amare un uomo o una donna non è la stessa cosa, che gli extracomunitari anche no (portano le malattie e ci rubano il lavoro) ma leggerlo, prenderne concreta consapevolezza, ti mette di fronte ad una condizione in cui il miglior commento, forse, è meglio non esprimerlo.

“Possibile che nel 2017 – continua Abi Zar – i “neri” abbiano un ingresso diverso dai “bianchi”? Assurdo, inammissibile, vergognoso. Il mio caro amico mi disse: io mi vergogno di essere italiano. Ma io? Di cosa mi dovevo vergognare? Di essere italiano e venire trattato come si tratta un animale? Inizialmente volevo lasciar perdere ma sarei stato ipocrita; sono laureato in giurisprudenza, sto facendo un master in diritto internazionale a Londra e ho da sempre la speranza di cambiare le cose lottando le discriminazioni. Lasciar perdere avrebbe significato tradire tutti i valori e i principi in cui credo, per me sacri.”

Dopo la denuncia pubblica di Abi Zar, altri due ragazzi di colore hanno avuto il coraggio di alzare la testa e denunciare l’accaduto, Owusu Boateng e Joshua Wagan; tutti insieme sono andati in Questura. “Sono molto deluso, triste, e mi sento ripudiato dal Paese che dovrebbe rappresentare casa mia e che raramente lo è stato. In questo momento non credo di essere mai stato così felice di abitare a Londra.”

Ciò che posso fare, nel mio piccolo, oltre a rendervi partecipi di questo triste abominio, è esprimere la mia solidarietà a Abi Zar e a tutti quelli che, purtroppo, non hanno il coraggio di fare i nomi e denunciare a voce alta, di combattere per il rispetto della propria dignità, dignità che non PUO’ avere alcun colore. Quando penso all’Italia, a come siamo ridotti, non mi vergogno dei nostri politici, delle tasse che ci uccidono, della Salerno- Reggio Calabria, di Belen e Fabrizio Corona etc. Ogni Paese ha, più o meno, le stesse identiche problematiche.. non ne esiste uno perfettamente efficiente. Ciò di cui mi vergogno, invece, quando penso all’Italia è la chiusura mentale che abbiamo e che cerchiamo meschinamente di nascondere, le discriminazioni fra bianchi e neri, fra eterosessuali e omosessuali e se fossimo un tantino onesti con noi stessi dovremmo ammetterlo. Ammetterlo e stare in silenzio. Semplicemente, fare silenzio.

Elisa Agazio

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