NON SE NE PUÒ PIÙ

I miei ventiquattro lettori – i più, magari, con sollievo – avranno forse notato il mio silenzio durante i giorni scorsi. La mia afasia è un frutto diretto della nausea, indotta dal cicaleccio sempre più urlato e sempre più volgare dei media, legato alla campagna referendaria ma non solo.

Urla e volgarità non sono certo qualcosa di nuovo; solo che in certe circostanze, come appunto quella attuale, la sensibilità a certe cose si acuisce; e allora nel calderone delle insofferenze ci finisce un po’ di tutto, e viene la voglia di sbarrare porte e finestre, chiudere occhi e orecchie e di dire “basta”.

Eugenio Scalfari fa notare, nel suo consueto “fondo” domenicale su La Repubblica, che il gusto di rincorrere il demagogo di turno non è né nuovo né esclusivo degli italiani e cita esempi storici nostrani, come quello del Qualunquismo di Giannini, e recentissimi di fuori, come la campagna presidenziale USA che ha dato la vittoria a Donald Trump; ma questo non consola più di tanto chi vorrebbe vedersi intorno un po’ di civiltà e di buona creanza. Al contrario, lo avvilisce ancora di più.

Oramai la volgarità non fa neanche più notizia. Inutilmente Laura Boldrini ha reso pubblici alcuni degli insulti più velenosi, minacciosi e volgari di cui è fatta segno. Il suo giusto sfogo, anzi, è stato perfino controproducente perché la reazione di molti è stata una nuova e ancor più velenosa, minacciosa e volgare bordata di insulti.

Perfino il mite e abitualmente a modino Fabio Fazio, giovedì scorso, nel suo Rischiatutto rideva di gusto alle battute infarcite di parolacce della Gialappa’s e a una canzonaccia di Claudio Bisio, incentrata sulla parola “puttana”. D’altra parte, la pur intelligente e colta Luciana Littizzetto fa del turpiloquio uno dei pilastri dei suoi monologhi.

Tornando al referendum, non so voi, miei pazienti ventiquattro lettori, ma io non ne posso più.

Non so chi sia più insopportabile fra il campano De Luca che – a parte gli auspici di morte per Rosy Bindi – promette fritture di pesce a chi vota “Sì”, Grillo che definisce Renzi “una scrofa ferita”, lo stesso Renzi che personalizza, poi spersonalizza e poi personalizza di nuovo, e i tanti che non sanno, e in fondo neanche gli interessa, per cosa si va a votare ma urlano “Sì” o “No” in base esclusivamente alle simpatie o antipatie politiche, che poi sono il vero motore del referendum: pochissimi, infatti, si sono presi la briga di andarsi a leggere la riforma. Come seguaci di religioni avverse, invece di studiare i testi sacri costoro si accontentano di quello che i rispettivi sacerdoti predicano, anzi, urlano, dai vari pulpiti e gridano al sacrilegio se qualcuno, non importa quanto razionalmente, contesta la loro fede.

Come al solito, il voto e gli auspici non sono a favore di qualcosa ma contro qualcuno: dall’una come dall’altra parte i vari Fassina, Boschi, Salvini, Di Battista, Brunetta, De Luca, vogliono vedere il nemico nella polvere, con una punta di aggressività e volgarità maggiore sul variegato fronte del “No”, nel quale (anche per colpa del premier) sulla sostanza del quesito predomina la motivazione antirenziana.

Dall’una e dall’altra parte volano insulti, minacce, insinuazioni; i social media traboccano di dichiarazioni, vere ma spesso anche false, con le quali esponenti dell’uno apostrofano nei modi più incivili i simpatizzanti dell’altro fronte. Lo squallore la fa da padrone dappertutto.

“L’Italia” recita l’incipit dell’articolo 1 della Costituzione, “è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Purtroppo, visto il quadro desolante che abbiamo intorno, una modifica si imporrebbe proprio a queste belle parole. Sarebbe molto più rispondente alla realtà un’altra, ben meno nobile definizione: “L’Italia è una repubblica demagogica fondata sul livore”.

Che tristezza.

Giuseppe Riccardo Festa

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