No, questa non è una donna

Lo confesso: sono un ossimorico progressista all’antica. Senza scomodare Dante, Lapo Gianni, Guido Cavalcanti e gli altri stilnovisti, alle donne, pur rivendicando per loro la piena parità con noi uomini, riconosco il diritto alla diversità: una diversità che in realtà è superiorità, un dono della natura e dell’evoluzione che le rende a un tempo fragili e forti, delicate e resistenti, concrete e poetiche.

Adoro ammirarle, le donne: per la bellezza, la grazia; e per l’intelligenza troppo a lungo misconosciuta, così diversa da quella maschile e così ad essa complementare e necessaria: un complesso di qualità, che si riassume nella parola “femminilità”, davanti alle quali gli uomini degni di questo nome si inchinano riverenti, commossi e ammirati.

La parità non è uguaglianza; ma ci sono donne che nel nome, appunto, non della parità ma dell’uguaglianza con gli uomini, dimenticano quanto sia importante questo loro patrimonio di femminilità e lo gettano via, scimmiottando gli aspetti più beceri, squallidi e sgradevoli della natura maschile.

Smettono così di essere donne per trasformarsi in qualcosa di mostruoso; e non parlo dell’aspetto fisico ma del linguaggio, del comportamento, del modo di porgersi.

Già il fatto che una donna celebri Mussolini (che le donne le usava; e che volle le leggi razziali, e la guerra, e gli orrori di Salò), depone contro la sua femminilità, perfino se gli viene parente. Che poi militi in Forza Nuova aggrava la situazione; ma se per giunta indossa una maglietta, ripugnante come quella esibita a Predappio da una certa Ticchi Selene (certe persone non meritano che si premetta il nome al cognome) assimilando Auschwitz a Disneyland, e ride orgogliosa, parlando di “goliardata”, alla faccia delle centinaia di migliaia di altre donne, e bambini, e uomini, e vecchi, che dietro quel cancello sono stati assassinati, allora non è più una donna.

Intendiamoci: la situazione non sarebbe migliore se a indossare quella maglietta fosse un uomo; ma almeno in questo caso ci sarebbe la consapevolezza che questo genere di bestialità i maschi le commettono da sempre. Da una donna, invece, cose del genere uno – beh, almeno io – non se le aspetta.

Lo sa, Ticchi Selene, qual è la cosa più triste? È che lei, ne sono certo, è stupita del clamore e dell’indignazione che quella sua maglietta, e quella sua risata, hanno sollevato in Italia e nel mondo: lei non ne capisce la ragione perché, è evidente, i suoi mezzi mentali sono troppo limitati per consentirle di capire quanto in basso lei sia caduta con quella esibizione. E anche questo, Ticchi Selene, fa di lei meno, molto meno che una donna.

In effetti questo fa di lei meno, ma molto, molto meno, di un essere umano.

Giuseppe Riccardo Festa

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