Indro Montanelli: doppie morali e foglie di fico.

No: quel monumento Montanelli non lo meritava.

Supponiamo che avesse avuto dalla moglie italiana una figlia e supponiamo, anche, che con questa figlia si fosse trasferito per un breve periodo in Africa, in uno di quei Paesi dove si ritiene, o si riteneva, che l’infibulazione e l’escissione del clitoride siano pratiche giuste e normali: nessuno può credere che, a causa di queste convinzioni locali, avrebbe lasciato che anche sua figlia subisse quelle mutilazioni genitali.

Lascia dunque il tempo che trova la giustificazione, che lo stesso Montanelli diede, per il suo “matrimonio” con una bambina di dodici anni, in Africa orientale, durante l’occupazione fascista della Somalia. Una giustificazione che, per giunta, egli fornì ridacchiando: aveva comperato quella bambina dal padre, e ne aveva abusato sessualmente, spiegò, perché “da quelle parti era una cosa normale”.

È possibile che un intellettuale, un severo fustigatore dei costumi, un critico spietato della corruzione morale e politica quale egli era, non si rendesse conto della disumana assurdità di una simile giustificazione?

Purtroppo sì, è possibile. È possibile perché la doppia morale è per molti italiani uno stile di vita. Ciò che non avrebbe mai fatto in Italia a una bambina italiana, perciò, Montanelli trovò del tutto legittimo farlo a una bambina somala e nera: per i suoi standard, quindi, meno umana di una bambina italiana.

Montanelli, che non si è mai pentito di quel “matrimonio”, non si rendeva conto di essere in tragica contraddizione con i principî che andava predicando. Quel che è peggio è che non si rendeva conto, nemmeno, del pessimo esempio che dava di sé stesso e del proprio spessore morale: di essere, lui che amava tanto mostrare a dito i vizi dei suoi connazionali, un campione di doppiezza e di disinvoltura quando i vizi da fustigare non erano quelli degli altri ma i suoi.

Il fatto che Montanelli sia stato un uomo fornito di un’acuta e sferzante intelligenza dunque non attenua, ma se mai aggrava la colpa che macchia in modo indelebile la sua storia personale e intellettuale; né l’attentato che subì dalle Brigate Rosse può essere invocato per trasformare in martire un uomo, educato in Italia e in possesso di tutti gli strumenti culturali necessari per vederne l’indecenza e l’orrore, che ha potuto trattare una bambina di soli dodici anni come una bestiola da usare a letto per il proprio sollazzo.

A coloro che ne difendono il comportamento in Africa, parlando di “necessità di contestualizzare”, vorrei far notare che anche gli stupratori di bambini e ragazzine che praticano il turismo sessuale in Thailandia potrebbero invocare la stessa attenuante, e ritenersi innocenti, perché la prostituzione minorile, da quelle parti, è “una cosa normale”.

L’unica cosa “normale”, in realtà, è che noi italiani siamo tanto bravi a condannare i peccati altrui quanto a perdonare, se non a legittimare, quelli nostri, essendo superbamente coerenti solo e soltanto quando si tratta di praticare l’incoerenza.

Giuseppe Riccardo Festa

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