Matteo e Fabo: due facce della stessa medaglia.

Mi dispiace rendervi partecipi, con i miei articoli, sempre di argomenti molto difficili e “pesanti”da un certo punto di vista, ma la scrittura – almeno per come la vivo io – è un dono che deve essere utilizzato per diffondere messaggi importanti, pensieri reali, esempi da seguire, spunti su cui riflettere. Non sono né la prima né l’ultima che scriverà di Matteo e Fabo ma voglio premettere una cosa: questo articolo vuole essere, semplicemente, un esempio di come la diversità governi il nostro mondo e di come la libertà ne rappresenti l’atomo più importante.

Matteo ha 19 anni ed è disabile fin dalla nascita; non parla, non si muove, a causa di un’asfissia post parto, un errore medico che lo ha reso un soggetto consapevole ma immobile. Quanto può essere difficile essere vivi, in un corpo che non senti? E’ difficile tanto quanto lo è per Fabo, 40 anni appena compiuti ed un incidente stradale che ha stravolto la sua vita totalmente. Fabo era consapevole, tetraplegico e non vedente. Due storie apparentemente simili, due condizioni difficili, due mondi identici; in realtà, secondo la mia modesta opinione, non è proprio così.

Matteo ha scritto una lettera molto commovente a Fabo, sentendosi ovviamente molto vicino alla sua condizione; “Fabo, non chiedere di morire. E’ vero, noi due non possiamo fare niente da soli, ma possiamo pensare e il pensiero cambia il mondo.” Come darti torto, caro Matteo; il vostro, di pensiero, è anni luce più profondo e più consapevole di noi cosìdetti “normali”. Nonostante condivida il pensiero di Matteo, però, comprendo ancora di più la scelta di Fabo che alle 11.40, non potendo scegliere nel Paese che dovrebbe rappresentare la sua mamma, non potendo scegliere LIBERAMENTE proprio in quel Paese che della libertà se ne fa vanto, in Svizzera, con mezzi propri, è volato via.

Dicevo, prima, che le due condizioni sono apparentemente simili. La differenza dov’è?! Matteo ha avuto la sfortuna di nascere disabile, Fabo invece ha conosciuto la bellezza di essere una persona indipendente. Fabo ha conosciuto la bellezza della musica, la libertà di un viaggio, il calore del sole sul viso mentre correva sulla spiaggia; Fabo era un uomo, era padrone del suo corpo, dei suoi bisogni, delle sue necessità: poteva lavarsi da solo, poteva mangiare da solo, poteva baciare la sua fidanzata dove e quando voleva. Fabo vedeva la luce del mattino: immaginate come dev’essere una vita senza luce. Un black out senza preavviso.

Ho visto un film qualche tempo fa, scrissi anche un articolo tanto mi aveva colpito nel cuore: Me before you. Chi l’ha visto, capirà le parole che sto per scrivere; chi non l’ha ancora visto, deve rimediare immediatamente. Quando si ama la vita, ma la si ama davvero, in ogni sua sfaccettatura, non ci si riesce ad accontentare di un corpo che non è il tuo. C’è un passo di questo film che recita così: “Nessuno vuole sentir parlare di tutto questo. Nessuno vuole sentirti dire che sei spaventato, o che soffri, o che hai paura di morire per colpa di qualche stupida infezione presa per caso. Nessuno vuole sapere come ci si sente a essere consapevoli che non farai più sesso, non mangerai mai più il cibo che hai cucinato con le tue stesse mani o non potrai più tenere tuo figlio tra le braccia. Nessuno vuole sapere che qualche volta mi sento così intrappolato su questa sedia che ho soltanto voglia di gridare come un pazzo al pensiero di trascorrere un altro giorno inchiodato qui. […] Tutti vogliono vedere il lato positivo. Hanno bisogno che io veda il lato positivo. Hanno bisogno di credere che esista un lato positivo.”

Matteo ha ottenuto un risarcimento dall’ospedale per quel parto sbagliato: con quei soldi ha acquistato una casa, mettendosi un pennarello in bocca è riuscito a firmare il rogito notarile. Quella casa sarà la sede della sua Associazione. Fabo, invece, il 27 febbraio ha posto fine alla sua sofferenza.

Perdonatemi se, con questo articolo, apparirò poco cattolica o poco sensibile alla vita. Ma io, in questo momento, mi sento infinitamente vicina a Fabo, alla sua ritrovata libertà; alla sua famiglia e al dolore immenso di assistere ad un suicidio assistito.

Buon viaggio Fabo,

finalmente puoi salire, con le tue gambe, i gradini verso l’alto.

Elisa Agazio

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