MACERATA: l’importanza di esserci

Confesso ai miei ventiquattro lettori che non mi piacciono le folle. Sono troppo individualista e innamorato dell’indipendenza per amare l’idea di mescolarmi a una massa di persone, anonimo fra gli anonimi, col rischio poi di subire quei momenti di follia che tanto spesso trasformano quella massa in un organismo acefalo e impazzito, del tipo così efficacemente descritto da Manzoni nei suoi “I Promessi Sposi”, quando racconta la rivolta del pane a Milano e analizzato da Gustave Le Bon in “Psicologia delle folle”.

Dunque mi sono affacciato sulla manifestazione di oggi, a Macerata ma sono rimasto ai margini, e non mi sono trattenuto a lungo.

Ma ci sono andato: per esprimere, quantomeno simbolicamente, il mio rifiuto del razzismo e il mio no, fermo e deciso, al fascismo. Un rifiuto e un no tanto più importanti, in quanto la cronaca di questi giorni dimostra quanto speciose e disoneste siano le motivazioni che pretenderebbero di giustificare il tentativo di strage perpetrato dal fascista Traini durante il suo raid per le strade della città.

Traini ha vaneggiato di aver voluto fare giustizia – parola che suona bestemmia sulle sue labbra – per la morte di Pamela Mastropietro: un nero l’ha uccisa e ha fatto scempio del suo corpo, è il suo preteso ragionamento, e allora io sparo su tutti i neri che mi capitano a tiro. Ma quante voci si sono alzate per non dico vendicare (Dio ce ne guardi) ma almeno compiangere la morte non molto diversa, a Milano, di un’altra ragazzina, uccisa però da un italianissimo tranviere? E’ chiaro che la gente come Traini, alla quale non è sbagliato associare anche il leghista Salvini, prende nota soltanto dei delitti che confermano i suoi pregiudizi e che quando parlano di giustizia, in realtà, costoro pensano alla vendetta, cieca e indiscriminata.

A questo modo di pensare ha detto un deciso, pacifico e fermo “NO” la manifestazione di oggi. C’era tanta gente e non ci sono stati disordini, e questo è importante perché chi predica la convivenza, il rispetto e la tolleranza deve essere il primo, poi, a praticarli.

Ora, da maceratese, per quanto di adozione, vorrei tanto – e capisco e condivido il punto di vista del sindaco della città, il mio amico Romano Carancini – che al clamore si sostituisse la riflessione; e che Macerata – certamente senza nascondere la testa nella sabbia, perché certi problemi esistono e ignorarli non li cancella – tornasse ad essere quello che è sempre stata e che è sua vocazione essere: una cittadina pulita, ordinata, tranquilla e civile; un posto dove la gente si rispetta, dove i rapporti sono educati e dove non esistono ghetti, né fisici né mentali. Una città fiera della sua tradizione di accoglienza e tolleranza, e del suo meraviglioso patrimonio culturale.

Una città dove la gente, quando si riunisce, non ha bisogno di farlo per dire “NO” al razzismo e al fascismo, perché quel “NO” ce l’ha nel DNA, e non basta una minoranza di imbecilli ignoranti e violenti per alterare la sua natura, ma lo fa per il piacere di stare insieme e di condividere le sue bellezze artistiche e culturali, come quando festeggia la “Notte dell’Opera” o stipa i palchi e la platea del suo meraviglioso Sferisterio.

Una Macerata dove, credetemi,  è bello vivere.

Giuseppe Riccardo Festa

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