L’EUROPA CHE NON C’È PIÙ (AMMESSO CHE CI SIA MAI STATA)

Si potrebbe parlare di ironia della Storia; ma più che di ironia mi sembra sia opportuno parlare di sarcasmo. In questo stesso giorno in cui noi italiani, con una convinzione sempre meno decisa, ricordiamo quel lontano 25 aprile che ha visto finalmente finire l’incubo della dittatura fascista e dell’occupazione nazista, appena al di là del Brennero una maggioranza – per ora ancora relativa – di austriaci festeggia la vittoria di un partito che torna a parlare di frontiere, di difesa della razza e di chiusura: in buona sostanza, di quello stesso egoismo nazionalista che è stato all’origine di tutti gli orrori che questa nostra povera Europa ha subito fin dagli albori della sua storia.

A giugno gli inglesi decideranno se restare o no in questa Europa, nella quale sono entrati con poca convinzione e contro la quale si sono sempre battuti ogni volta che hanno sentito odore di cessione di qualche porzione, anche infima, di sovranità. Con una mossa non so se più goffa o maldestra, Barak Obama ha incitato i britannici a votare per la permanenza nella Comunità, ottenendo soltanto di suscitare gli insulti del sindaco di Londra e reazioni irritate dei fieri sudditi di sua maestà, la cui voglia di allargare il Canale della Manica ha così, più che altro, incentivato.

La realtà è che il sogno europeo ha potuto funzionare finché a tenerlo in vita ha collaborato una strana coppia: quella della paura e dell’opulenza. La paura era quella dell’orso sovietico, l’opulenza era quella della crescita economica, illusoriamente infinita, che ci ha ingrassato dal dopoguerra fino alla fine degli anni ’80.

Illusorio e patetico appare, oggi, il sogno degli Adenauer, degli Spinelli, dei De Gasperi, degli Schumann, che credevano di fondare un’Europa veramente unita e solidale.

Il referendum inglese, le barriere austriache al Brennero e i fili spinati che si stanno stendendo un po’ dappertutto; i veti polacchi, le insofferenze baltiche, i rifiuti ungheresi, l’onda montante delle destre xenofobe e la solitudine e l’umiliazione che si stanno facendo subire alla Grecia, non fanno che confermare la mesta constatazione che l’Europa degli ideali, se mai è esistita, è esistita solo nei sogni di quegli statisti: grandi uomini che guardavano lontano ma non vedevano, accanto a sé, meschinità,  grettezze ed egoismi che la guerra aveva soltanto sopito.

L’Europa è la mucca che tutti vogliono mungere ma nessuno vuole pascolare. Quando si tratta di incassare contributi tutti sono pronti; quando però bisogna mostrarsi veramente uniti e solidali, allora tutti si ricordano di essere prima di tutto inglesi, francesi, spagnoli, italiani, tedeschi, austriaci, eccetera. La crisi scoppiata nel 2008 e che ancora ci sta mordendo il sedere, e ancor più quella dei profughi siriani, hanno messo in chiara evidenza quanto sottile fosse la vernice di idealismo che mascherava il sostanziale egoismo che anima i membri, e gli aspiranti membri, dell’Unione.

Ma anche la loro miopia. Pur mettendo da parte ogni considerazione di carattere culturale e umanitario, è evidente a chiunque abbia un minimo di buonsenso che la crescente e onnivora potenza economica della Cina, il risorgente imperialismo russo e le spinte destrorse che, negli Stati Uniti, alimentano i sogni presidenziali di Donald Trump rendono quanto mai necessario che l’Europa, se non vuole sparire, smetta di essere un’accozzaglia di nazioni gelose di un’inutile autonomia e che il benessere di tutti è condizione del benessere di ognuno.

Difficilmente questa miopia potrà guarire. I politici sono miopi per definizione, perché il loro orizzonte si ferma alle prossime elezioni. Solo gli statisti guardano lontano; ma di statisti, in questa Europa di banchieri, pizzicagnoli e notai dai ventri obesi e le mani sudate, come avrebbe detto Fabrizio de Andrè, non se ne vedono.

È un triste 25 aprile.

Giuseppe Riccardo Festa

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