La politica e “l’effetto farfalla”

Ho due fratelli che ascolto in rispettoso silenzio quando parlano di due argomenti nei quali sono particolarmente versati: rispettivamente, la matematica e l’elettronica. Si tratta di materie (non le sole) riguardo alle quali non ho difficoltà, ma molto rammarico, ad ammettere la mia ignoranza, perché le trovo affascinanti e culturalmente ricchissime, ma purtroppo non ne posseggo che nozioni vaghe ed elementari.

Potrei elencarne diverse altre, naturalmente, dalla medicina alla fisica quantistica: argomenti in merito ai quali mi rimetto agli specialisti sperando, nel leggerli o nell’ascoltarli, di migliorare al riguardo il mio grado di conoscenza, e guardandomi bene dal pretendere di correggere o addirittura di sbeffeggiare quello che dicono.

Questa regola, purtroppo, è ben poco rispettata. Chi, una volta o l’altra, non ha visto un tizio alzarsi ed intervenire, su un argomento qualunque, esordendo con un Io non sono uno specialista, ma…?

Al giorno d’oggi è proprio il rifiuto della competenza a dominare la scena, così che fra terrapiattisti, attivisti no-vax, vegani, teorizzatori delle scie chimiche e politici improbabili, il mondo sembra aver deciso di votarsi alla promozione dell’incompetenza e dell’improvvisazione.

Purtroppo il mondo, a dispetto dei banalizzatori, è terribilmente complicato. Se n’è accorto Donald Trump che, dopo aver annunciato tutto tronfio una bordata di dazi sui prodotti cinesi, ha poi dovuto, zitto zitto, riaprire i negoziati perché (fonte Il Sole 24 Ore) i cinesi, per tutta risposta, hanno disertato un’asta per l’acquisto dell’equivalente americano dei nostri CCT: ha così scoperto che i cinesi hanno in mano il 30% del debito pubblico USA. Il che significa, in termini poco finanziari, che tengono l’economia americana per i testicoli. Quello che Trump evidentemente ignorava, insieme a tante altre cose, è che effettivamente, come dice un famoso aforisma di Edward Lorenz, il battito d’ali di una farfalla in Cina può provocare un tornado in Texas. Nel caso specifico, un’operazione finanziaria a Pechino può far crollare la borsa di Wall Street.

Il mondo è oramai percorso da una fitta e inestricabile ragnatela di connessioni. Ogni economia dipende da tutte le altre; l’eccesso di anidride carbonica prodotta in India e in Pennsylvania fa sciogliere i ghiacci in Groenlandia e alzare il livello degli oceani in Australia; la politica del turco Erdogan influisce sulla vita dei pensionati di Vigevano, le guerre che in Yemen, Afghanistan, in Libia e altrove qua e là per l’Africa arricchiscono certi produttori di bombe, anche nostrani, sono poi all’origine delle migrazioni di disperati che cinicamente etichettiamo come “clandestini”, liberandoci così la coscienza, o credendo di liberarla, se a causa della nostra indifferenza o della nostra ostilità annegano – donne, bambini, ragazzi e uomini – affondando coi loro barconi.

Bisognerebbe dare ascolto a chi ha competenza e cognizione di causa, in tutti i campi. Nessuno si sognerebbe di farsi operare al cuore se non da un esperto chirurgo, e nessuno salirebbe su un aereo pilotato da un tizio che non abbia il suo bravo brevetto e la dovuta esperienza. Però non troviamo strano affidare il nostro futuro a gente di evidente e disarmante incompetenza in politica, economia, diritto e diplomazia.

Quando dunque qualcuno – che sia di destra, di sinistra, di centro, di sopra o di sotto – ci chiede il voto, dovremmo fare quello che faremmo se dovessimo scegliere non dico il costruttore della nostra casa, ma anche soltanto la badante della nonna: dare un’occhiata alle sue referenze. E se, facendolo, scopriamo che, oltre a proporre ricette semplici per problemi maledettamente complessi, e indicare nemici da odiare, non sa fare altro, dovremmo pensarci sopra due volte prima di accordargli la nostra fiducia.

E poi votare per qualcun altro.

Giuseppe Riccardo Festa

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