Junior Kally: libertà artistica o foglia di fico?

Sarà che sono di gusti retrogradi, sarà che non capisco i tempi che cambiano, ma  proprio è più forte di me: in qualunque modo essa sia esercitata, la violenza, soprattutto quando è gratuita e a danno di chi è fisicamente o psicologicamente più debole, mi ripugna e mi disgusta; e chiunque, esaltandola e legittimandola ne faccia uso, sul piano pratico o anche solo letterario, mi appare sordido e miserabile, fosse pure il marchese de Sade, che pure è considerato un grande della letteratura, non solo francese ma addirittura mondiale.

Ma perfino de Sade, paragonato a certi artisti contemporanei, tutti appartenenti al mondo del rap e del trap, diventa una lettura da educande: l’esaltazione della violenza – preferibilmente sulle donne – da parte di certi loro esponenti, è un topos arcinoto fin dalle origini di quelle forme di comunicazione, quando nacquero nei suburbi disperati e miserabili delle megalopoli statunitensi.

Ero, sono e sempre sarò un convinto assertore della libertà assoluta dell’espressione artistica, che non deve subire censure né limitazioni. La censura, ad esempio, che condannò Ultimo tango a Parigi di Bertolucci alla damnatio memoriae è stata sconfessata dal tempo, che ha dimostrato che quel film (per quanto lento, pesante e in fondo noioso), a dispetto delle anche brutali scene di sesso che conteneva era un’opera d’arte.

Mi chiedo dunque cosa dirà il tempo dei testi di quel tale Junior Cally, al secolo Signore Antonio da Focene (Roma) che, a parte i tatuaggi d’ordinanza, se ne va in giro con una maschera sulla faccia e canta – pardon – rappa testi di questa fatta: “Lei si chiama Gioia / beve poi ingoia. / Balla mezza nuda, dopo te la dà. / Si chiama Gioia, perché fa la troia, / sì, per la gioia di mamma e papà. / Questa non sa cosa dice. / Porca troia, quanto ca**o chiacchiera? / L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa / ci ho rivestito la maschera”. E c’è dell’altro: “State buoni, a queste donne alzo minigonne”; “me la chiavo di brutto mentre legge Nietzsche”. E ancora, sempre con lo stesso livello di eleganza nel linguaggio, inviti a violentare la cantante Giusy Ferreri, l’influencer Greta Menchi, la showgirl Elisabetta Canalis.

Versi e concetti raffinatissimi, dirà qualcuno dalla mentalità più aperta della mia. Espressione del linguaggio giovanile, dirà qualcun altro in vena di sociologismo; opera di un vero artista, affermano gli esegeti del mondo rap e trap. E in effetti Signore Antonio da Focene (Roma), in arte Junior Cally, è stato consacrato grande artista e big della canzone italiana, e non da non importa chi: nientepopodimeno che da Amadeus, il direttore artistico dell’incombente festival di Sanremo. Sì, lo stesso che ha lodato le donne che sono grandi, a suo dire, quando sono belle e sanno stare un passo dietro il loro uomo.

Io qualche dubbio, a proposito di entrambe queste affermazioni di Amadeus, mi permetto di nutrirlo. Per quanto riguarda le donne, perché ho sempre pensato che loro e i loro uomini debbano camminare fianco a fianco; per quanto invece riguarda Signore Antonio da Focene (Roma), e tanti altri come lui, perché ho il sospetto che, non da oggi, l’alibi della libertà dell’espressione artistica finisca con lo sdoganare ogni sorta di ciarpame, non importa quanto volgare, violento, misogino, scurrile e oggettivamente brutto, che in realtà di artistico, se si esclude la libertà, non contiene assolutamente niente di niente.

Chi osa alzare il dito e dire: “Questa cosa è volgare, violenta, misogina, scurrile e oggettivamente brutta”, viene immediatamente accusato di essere retrogrado, di opporsi al cambiamento dei tempi, di avere intenzioni censorie e, massimo dell’infamia, di rifiutarsi di capire i giovani di oggi.

E magari forse è vero. Forse il futuro dell’arte musicale e letteraria appartiene davvero a fenomeni del livello di Signore Antonio da Focene (Roma), in arte Junior Cally.

È questo pensiero, credetemi, ad angosciarmi di più.

Giuseppe Riccardo Festa.

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