Giacomo Papi, il nuovo George Orwell

Il contrario di “abbondantemente” è “a Berlino Petrarca dice la verità”. La battuta, lo confesso, non l’ho capita subito, ma poi mi è piaciuta.

Appartiene a Il censimento dei radical chic, il romanzo breve di Giacomo Papi pubblicato di recente da Feltrinelli. Me ne è stata suggerita la lettura con la promessa che mi sarei fatto un sacco di risate ma a me, a parte qualche battuta qua e là sul tipo di quella che ho citato, ha ispirato un profondo malessere.

A mio avviso il libro non è umoristico ma al contrario è permeato dall’angoscia. Soprattutto sono angosciati, ed angoscianti, gli intellettuali, le vittime del nuovo “sistema”. Sono consapevoli del crollo delle loro certezze, che siano spocchiosi e supponenti (quasi a legittimare l’avversione delle masse ignoranti) e destinati, come da titolo, a una spietata schedatura, o disarmati e impotenti o, infine, siano dei cinici finti ignoranti, come il “Primo ministro dell’interno” che fa una folgorante carriera politica lusingando l’ignoranza dei suoi elettori ma  la distrugge andando di nascosto a vedere film d’éssai francesi e facendosi scoprire.

No, non sono riuscito a trovare umoristico questo libro: somiglia troppo a “1984” di George Orwell. Il suo “italiano semplificato” somiglia troppo alla “neolingua”; il suo “Ministero della menzogna” all’orwelliano “Miniver”, il “Ministero della verità” che, a dispetto del nome dal significato opposto, svolge la stessa funzione di riscrivere la storia in modo che sia favorevole a chi detiene il potere; infine, i suoi manipolatori dell’opinione pubblica hanno una troppo sinistra somiglianza con il “Grande Fratello”.

“Il Censimento dei radical chic” è spietato verso gli ignoranti, e verso chi agli ignoranti liscia il pelo, ma non risparmia bordate di feroce sarcasmo contro chi si proclama intellettuale, si costruisce un piedistallo e ci si piazza sopra per guardare il resto del mondo dall’alto in basso e gustarsi il piacere di essere, o di ritenersi, élite.

Troppe situazioni, troppi comportamenti e troppi personaggi sono spaventosamente riconoscibili in situazioni, comportamenti e personaggi che ogni giorno s’incontrano per strada, pontificano sui social o sentenziano in televisione, per consentire di ridere, e basta, durante la lettura di questo libro. Un libro che parla di gente con gli occhi incollati allo schermo dello smart-phone, di selfie col politico rampante o sullo sfondo del morto ammazzato, di cibo come unico fine dell’esistenza (come non pensare alle troppe prove del cuoco che imperversano in tutti i canali televisivi?), della citazione colta vista come un insulto, e dell’assassinio di chi civilmente contesta derubricato a se l’è cercata.

Tutto questo non appartiene a un fantozziano mondo dell’assurdo ma all’esperienza quotidiana di ciascuno di noi. Ancora più terrificante, dalla lettura del libro emerge la constatazione che a tutto questo ci si è ormai abituati e che questo ritorno alla barbarie viene accolto da tutti con una scrollata di spalle.

Per il tramite di un intellettuale disperato che non ha nulla di radical chic, nel finale i libri si vendicano, con uno spettacolare autodafé, della massa degli ignoranti e del loro campione, il nuovo Primo Ministro, scelto per il ruolo perché è tanto bello quanto ignorante; ma si intuisce che il gesto non ha un effetto catartico: produce solo una pioggia di carta bruciata.

Disperato è il finale di “1984”, disperato è il finale di “Il censimento dei radical chic”.

Il censimento dei radical chic è un libro bellissimo, da leggere assolutamente e tutto d’un fiato perché è di quelli che ti costringono a farti delle domande. E soprattutto perché, se hai la presunzione di ritenerti un intellettuale, ti costringono ad avere paura delle risposte che potresti doverti dare.

Giuseppe Riccardo Festa

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